Intreccio innaturale? No, pare un groviglio armonioso
SIENA. L’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco nell’intervista apparsa sull’Unità il 31.12.2013, con riferimento alle recenti vicende del Monte afferma: “Il punto è che la banca era fallita; inutile fare ipocrisie”.
Strenuo sostenitore della sua nazionalizzazione, non si perita di andare giù duro: “…Mi permetto di osservare che a Siena gli enti locali appena hanno avuto le leve del comando (prima c’era il Tesoro) sono riusciti a distruggere il terzo gruppo bancario italiano: se lo sono mangiato. Oggi vorrebbero continuare come in passato. Il tentativo dei Monti bond era proprio quello: salvare lo status quo. Ma questo equilibrio non può reggere perché di mezzo c’è un fallimento”. Ancora una sassata:”Tutti sanno che c’è un rosso di 1,5 miliardi relativo alla contabilizzazione dei derivati che porta il core tier 1 sotto l’8%, che è una delle condizioni per cui i Monti bond si convertono in azioni…In questo Paese nessuno è più in grado di dire la verità. Tutti hanno paura di essere criticati o attaccati”.
Di sicuro Visco è uno che parla chiaro e devo ammettere che osservare i compagni che si danno delle botte da orbi non mi dispiace più di tanto. Sulla situazione della Banca di Siena e sulle colpe dei suoi referenti politici locali è difficile dargli torto. Solo, si è dimenticato di ricordare che i piddini senesi si rivolgevano come figli premurosi al Pd di Roma ogni qualvolta dovevano prendere decisioni sulla Banca.
Ma questo è solo uno scorcio del quadro complessivo che ha determinato la distruzione di un patrimonio secolare florido e invidiato come quello della Banca più antica del mondo. Per completare il cerchio dobbiamo volgere lo sguardo verso Roma, caput mundi e sede di Bankitalia, massima custode dell’integrità delle Aziende di credito sue controllate.
La vulgata corrente narra che i vertici di Via Nazionale non siano potuti intervenire con la necessaria fermezza nei confronti del Monte perché Mussari & Company avrebbero artatamente ostacolato la funzione di vigilanza nascondendo documenti ed informazioni essenziali. Ma le carte, le testimonianze che emergono dal processo sul derivato Alexandria e la logica che sempre deve sorreggerci nell’esaminare i fatti, fanno apparire quella ipotesi sempre più peregrina e di comodo.
Del famoso mandate agreement Alexandria che era a disposizione del mondo intero ma che Viola e soci hanno rintracciato solo dopo mesi di estenuanti ricerche si è già detto a profusione. Tralasciamo qui di parlare dei verbali delle ispezioni 2010 e 2011 della Vigilanza che mettevano in luce tutte le problematiche del Monte, per focalizzare l’attenzione sulle mosse dei vertici dell’epoca di Bankitalia.
Saccomanni, fino a ieri Ministro dell’economia e all’epoca drettore generale di Bankitalia, nell’interrogatorio come persona informata dei fatti riferisce:“…Posso dire che non ci fu segnalato che Mps aveva acquisito Antonveneta senza fare una due diligence (analisi dei bilanci prima dell’acquisto ndr) (così riporta il Corriere della Sera del 2 agosto 2013).
Dottor Saccomanni, forse tra i poteri che le spettavano non rientrava quello di porre questa semplice domanda ai vertici del Monte: “Perdonate l’intrusione, ma la due diligence l’avete fatta?” Non pare strano che il controllore non chieda conto al controllato di un adempimento essenziale? A meno che l’acquisizione di Antonveneta s’avesse da fare a qualunque costo.
Sul Fatto Quotidiano del 24 agosto 2013 Giorgio Meletti, con l’arguzia che gli è propria, dipinge questo gustoso quadretto sui controlli Bankit: “L’allora capo della Vigilanza della Banca d’Italia, Anna Maria Tarantola, oggi presidente della Rai, andrebbe presa a simbolo di una classe dirigente tanto supponente quanto impalpabile di fronte alle responsabilità. Ai magistrati che le chiedono come mai Bankitalia – l’unica istituzione che poteva fermare Mussari – ha autorizzato l’incauto acquisto di Antonveneta, racconta un colloquio tra i vertici di Palazzo Koch (compreso l’allora governatore Mario Draghi) e quelli di Montepaschi, durante il quale “ci raccomandammo con i vertici di Mps di fare per bene l’acquisizione”. Per bene, dice testualmente. Sembra di vederla la Tarantola che a mani giunte si rivolge a Mussari come al nipotino discolo: “Mi raccomando Giuseppe, 16 miliardi sono sempre 16 miliardi”.
Che dire. Se il pacco andava servito comunque, a che pro controllare?
Anche Antonio Rizzo, ex manager della Dresdner Bank, considerato il principale testimone nell’inchiesta giudiziaria sulla c.d. “banda del 5%”, in una lettera pubblicata da Il Giornale il 5 febbraio 2013, con riferimento al caso derivati Monte Paschi ha qualcosa da dire sulla dottoressa Tarantola:”Il vero super testimone di questa vicenda non dovrei essere io ma la dottoressa Tarantola che ha ricevuto la relazione degli ispettori di Banca d’Italia nel novembre del 2010 nella quale tutto era scritto e descritto in dettaglio. Mentre le telecamere della Rai inseguono il sottoscritto in tutta Italia per ottenere una dichiarazione irrilevante, nessuno sale un piano di scale per chiedere al proprio Presidente perché abbia ignorato quella relazione consentendo l’errata contabilizzazione delle operazioni in questione”.
Ma le nomine di Saccomanni a ministro dell’economia e della Tarantola a presidente della Rai non saranno mica stati un premio per la preziosa opera svolta a favore del Monte? Un dubbio mi viene, perché si dà il caso che anche il terzo componente della troika Bankit dell’epoca e cioè il grande capo Draghi, dopo l’acquisizione di Antonveneta da parte del Mps abbia fatto carriera e sia stato nominato presidente della Bce, il sommo ente finanziario europeo, che detiene la sovranità monetaria degli stati aderenti.
Vigni mette a verbale; “Ricordo che Mario Draghi (allora numero uno della Banca d’Italia, ndr) disse che sarebbero stati al nostro fianco” (così riferisce Il Fatto Quotidiano del 3 agosto 2013).
L’autorizzazione di Via Nazionale all’acquisto di Antonveneta fu data nel marzo 2008 quando ancora dovevano essere attuate da parte del Monte le misure necessarie per un rafforzamento patrimoniale adeguato, che doveva costituire la conditio sine qua non per l’o.k. Insomma, chissà perché, ci si fidò ciecamente delle promesse di Mussari. Una volta poi divenuto di dominio pubblico il bubbone, con una sana vena di ipocrisia Bankitalia ha iniziato a fare la voce grossa col Monte e a giurare sulla correttezza del suo operato. Come riferisce Linkiesta in un articolo pubblicato il 31 gennaio 2013 dal significativo titolo ”La linea di Bankitalia su Mps: salvate il soldato Draghi”,“Per arginare lo scandalo Mps, l’ordine dei piani alti di Bankitalia è di compattarsi nella difesa della Vigilanza negli anni di Draghi, sorvolando sulle discrepanze fra verbale ispettivo 2010, pubblicato da Linkiesta, e le successive decisioni del direttorio. Per Napolitano è ormai questione di «interesse nazionale»”.
In effetti le dichiarazioni rilasciate da quest’ultimo nel corso dell’intervista riguardante le vicende del Monte apparsa sul Sole 24 Ore del 31 gennaio 2013 non sembrano lasciare dubbi: “Quest’ultima (una nota scritta Bankit, ndr) ha documentato minuziosamente come Bankitalia abbia esercitato fin dall’inizio con il tradizionale rigore le funzioni di vigilanza nei limiti delle sue attribuzioni di legge. E in effetti, la collaborazione che essa ha prestato e presta senza riserve alla magistratura inquirente è garanzia di trasparenza per l’accertamento di tutte le responsabilità”.
Io non so se rientri nelle prerogative del presidente del Csm rilasciare questi attestati di garanzia, ma è probabile che i magistrati inquirenti ne avrebbero fatto volentieri a meno.
Perché questi privilegi concessi al Monte in occasione dell’affare Antonveneta? Perché accanto agli ex vertici del Monte non figurano indagati i loro referenti politici e gli ex vertici della Banca D’Italia?
Beata ingenuità. Diamo un’occhiata agli attori che hanno calcato la scena della vicenda Antonveneta e troviamo la risposta. Quando il partito dei lavoratori e il mondo degli illuminati intessono una relazione di amorosi sensi non ce n’è più per nessuno. Game over! Chi può ardire di mettere i bastoni tra le ruote ad un apparato così potente che travalica i confini nazionali e può permettersi probabilmente di indicare la strada da seguire ad un presidente della Repubblica, alla grande stampa, alla magistratura? Costoro sarebbero stati uniti dal nobile e disinteressato intento di rendere ancora più grande il Monte. Peccato che il risultato non sia stato un granché.
Pronto l’epitaffio: qui giace il Monte dei Paschi, Banca fondata nel 1472 dalla gloriosa Repubblica di Siena. Morto nel 2008 a seguito di un tremendo incidente finanziario, tenuto in vita farmacologicamente tramite i Monti bond. Il groviglio armonioso sentitamente ringrazia.
Marco Sbarra
N.B. Il corsivo ed il grassetto utilizzati per evidenziare le citazioni sono opera dell’autore