Ecco cosa succede quando si trascura la lezione della storia
di Mauro Aurigi
SIENA. Mi meraviglia la quantità di critici verso la passata gestione del Monte che sono riemersi dopo una lunga e “coraggiosa” apnea, e mi meraviglia la virulenza della loro critica. Emergono solo ora che la ventennale agonia della semimillenaria istituzione è arrivata al suo logico, irreparabile epilogo. Ma fino ad ora silenzio assoluto. Perché? Banale codardia? O forse peggio, ossia l’entusiastica, servile e generalizzata approvazione di come le due istituzioni venivano in questi anni amministrate? Comunque ancora la grande maggioranza dei coraggiosi neo-inquisitori si cela dietro l’anonimato … non si sa mai.
Mi meraviglia l’ingenuità di quella critica che addebita ogni scelleratezza a Mussari, Mancini, Vigni e i loro vassalli. Quasi che, cacciati loro a tempo dovuto, non ce ne fossero migliaia di altri, allora come ora, dotati della stessa avidità di potere e denaro e della stessa spregiudicatezza, disposti a sostituirli. E quasi che non ci fosse, allora come ora, un “sistema” disposto ad accontentarli. Basti per tutte l’ultima infornata: i due mercenari della finanza Profumo e Viola e la confindustriale Mansi, anch’essi col seguito di propri vassalli, ovviamente pure loro alieni. Gli ottusi, in particolare quelli del Pd, pensano ingenuamente, e lo dicono in giro, che siano lì a fare gli interessi della Città e della Banca invece dei propri (nel senso che se non ci fosse stato un utile personale si sarebbero guardati bene dall’accettare l’incarico). Per questo gli hanno accomodato gentilmente gli statuti della Banca e della Fondazione affinché stessero parecchio più comodi. E ciò sempre che quelli del Pd siano in buona fede, ma non è detto.
ALL’ORIGINE DELLA CATASTROFE
Potrebbero invece, per esempio, avere semplicemente ubbidito, anche loro servilmente, a ordini calati dall’alto. Un servilismo ovviamente utile ai fini della propria personale carriera politica (cosa che niente avrebbe a che fare col salvataggio della Banca e della Fondazione, anzi!) come sempre hanno fatto a cominciare dalla privatizzazione della Banca, la madre di tutti i problemi attuali. Non hanno più ideologia né ideali. E neanche idee, a parte, da una ventina d’anni a questa parte, la fissa per i cda che invece in passato era prerogativa ributtante e esclusiva dell’ “odiata borghesia” (forse invidiata invece che odiata, visto con quanto piacere si sono tutti accomodati nelle poltrone delle S.p.A. miliardarie e sulle spalle – finalmente! – dei lavoratoti senza dover tirare fuori neanche un centesimo dalle proprie tasche che invece si riempivano!).
Così anche mi meraviglia che nessuno di quei critici metta in relazione la disfatta della Banca (e della Città) proprio con la privatizzazione nel 1995 del glorioso Istituto che allora era – tardivo riconoscimento odierno – la banca più solida d’Europa. La privatizzazione fu imposta da una folta schiera di potenti notabili (D’Alema, Amato, Ciampi, L. Berlinguer, Dini, Visco, Turci …) e di accademici (Spaventa, Imbriani, Claric, …), più la stampa di regime (ossia tutta) ed anche l’infinita schiera di notabili senesi, che poi senesi non erano per niente (L. Berlinguer, Piccini, Calabrese, Starnini, Ceccherini, Spinelli, Piazzi, Borghi, Barzanti …), ma anche il Consiglio comunale che, democraticamente, rifiutò il referendum popolare sulla questione (sarebbe stato certamente vinto da chi si opponeva all’operazione).
Privatizzazione finita come tutte le privatizzazioni in Italia a cominciare da quelle dei Savoia fatte ai danni del Meridione per rimborsarsi dei debiti di guerra contratti per la sua conquista (ossia fecero pagare la guerra agli aggrediti), grazie alle quali i musei di tutta Europa si riempirono di opere d’arte italiane, e per finire con quelle più attuali dell’Ilva, Cirio, Alfa Romeo, Alitalia o Telecom, ed ora aspettiamo RAI, Finmeccanica, Cassa Depositi e Prestiti, Poste …). Come se non ci fosse stato a Siena chi alla privatizzazione del Monte si oppose, spiegando che sarebbe successo esattamente quello che poi è successo. Cassandra, chiamavano chi scrive i compagni convertitisi entusiasticamente al capitalismo peggiore, quello finanziario, tanto incolti da essere del tutto all’oscuro che Cassandra era quella che aveva sempre ragione.
LA DEMOLIZIONE DELLA BANCA COMINCIO’ SUBITO
Mi meraviglia che nessuno di quei critici che ora fanno la voce grossa abbia mai, non dico protestato, ma almeno inarcato un sopracciglio, mentre in meno di un ventennio il patrimonio della banca più solida d’Europa veniva spolpato. Eppure non mancarono sulla (poca) stampa non asservita e nelle assemblee degli azionisti coraggiose denunce di chi vedeva che il re era nudo. Infatti dopo la privatizzazione i bilanci cominciarono quasi subito a denunciare perdite reali trasformate, tra l’indifferenza di tutti, in utili “virtuali” grazie a plusvalenze ottenute dall’alienazione di cespiti attivi (partecipazioni, banche, immobili …) accumulati nei secoli. Fu così che, ai fini di pura immagine mediatica (se non peggio), si cominciò a demolire la banca più solida d’Europa ben prima degli sciagurati affari della Banca 121 e Antonveneta. Quelle plusvalenze, invece di portarle a riserva com’era logico, furono portate a un inesistente utile d’esercizio da distribuire ai neo-azionisti privati che nulla avevano fatto per meritarselo. Un paio di volte fecero addirittura di più: per mostrare un utile fittizio prelevarono direttamente dalle riserve, frutto dell’accantonamento di utili della passata Banca pubblica e, contemporaneamente mediante la cartolarizzazione (vendita) dei mutui fondiari in essere, anche dagli utili del futuro: mai spoliazione di un pubblico patrimonio fu più devastante. E evidente. Ma si chiuse, non un occhio, ma tutt’e due.
E mi meraviglia che dopo tanta afasia, invece di metterci la faccia, rimboccarsi le maniche e provvedere in proprio alla bisogna, ci si sgoli a pontificare, ovviamente per lo più protetti da un coraggioso anonimato, invocando che qualcun altro, un uomo della provvidenza, un unto dal signore, cacci questi barbari dalle poltrone del potere a cui sono ancora inchiodati a Siena, a Firenze e a Roma. Questi neo-critici sono del tutto inconsapevoli o immemori del fatto che ormai da più di mezzo secolo a Siena (e in Italia) chiunque abbia conquistato il potere è sempre stato peggiore di quelli che ha sostituito. E soprattutto inconsapevoli del fatto che è proprio all’avvento di “salvatori della patria”, ovviamente tutti alieni, che Siena deve tutti i suoi guai decorsi e attuali.
A SIENA, LE CORTI FEUDALI DEI PRINCIPI “DECISIONISTI”
Ecco cosa scrive uno – che però, ad onor del vero si firma – su un blog:
Forse adesso molti senesi avranno capito o percepito il perché dell’allontanamento da Siena dell’ex sindaco Pierluigi Piccini, il quale non ha certamente bisogno delle mie difese né tantomeno intendo farlo; ma guarda caso, proprio dall’inizio del suo”esilio” sono cominciati i guai per Siena e, belli grossi. Forse qualcuno, in maniera estremamente superficiale e inopportuna vorrà pensare ad una certa mia forma di piaggeria; povero illuso, non è altro che una semplice presa d’atto dei palesi fatti avvenuti.
Per cui mi meraviglia che ancora non si sia capito che quello che è successo alla Banca, all’Università, all’Ospedale, al Comune ecc., ha cominciato a succedere quando sono venuti giù con la piena Luigi Berlinguer all’Università negli anni ’70 e Pierluigi Piccini al Comune negli anni ‘80: due prìncipi feudali, alieni come alieni sono tutti quelli che a Siena da allora hanno contano qualcosa. I due aprirono la loro corte con tanto di vassalli, valvassori e valvassini. Tutti i “protagonisti” attuali, ma proprio tutti, sono allievi di tali personaggi: Mussari non era forse il pupillo di Piccini? Due “decisionisti”, dicevo, in perfetta sincronia col “grande decisionista” Craxi che in quegli stessi anni da Roma cominciò a demolire l’Italia (da Berlusconi a Renzi sono tutti allievi suoi: forse che Fassino, D’Alema e, mi pare, anche Veltroni non stanno ora criticando l’ottimo Enrico Berlinguer per rivalutare il latitante-contumace Craxi?). Come non meravigliarsi allora se c’è a Siena chi ancora spera che un cavaliere bianco, ovviamente alieno, si affacci all’orizzonte per salvare la “nostra” patria in grande periglio?
IGNORATA DAI SENESI LA LECTIO MAGISTRALIS DELLA LORO STORIA
E soprattutto come non meravigliarsi che ci siano Senesi così privi di cultura (e forse anche d’intelletto) da non aver capito una lezione della loro storia che è strettamente legata all’attualità? Possibile che nessuno abbia consapevolezza del fatto che (caso probabilmente unico al mondo) l’80-90% della nostra notevolissima ricchezza economica, sociale e culturale, direttamente o indirettamente dipende o, meglio, dipendeva fino a una ventina di anni fa da enti pubblici fondati nel periodo repubblicano? Il millenario Spedale, la quasi millenaria Università, il semimillenario Monte e il moderno turismo richiamato dall’arte, anch’essa tutta pubblica e tutta risalente a quel periodo.
Possibile che nessuno si renda conto che un fenomeno di questo tipo, che per le sue longevità e floridezza ha del miracoloso, sia stato prodotto in un periodo, quello della Siena repubblicana, caratterizzato dall’assenza assoluta di uomini della provvidenza, di unti del signore, di salvatori della patria, tant’è che da quella straordinaria epoca, quando governavano i semplici cittadini tirati a sorte, per brevi periodi, anche di due soli mesi (più alta la carica, più breve la sua durata), senza rinnovo alla scadenza se non dopo anni, da quell’epoca così straordinaria, virtuosa e prolifica da farne beneficiare e largamente anche noi, dicevo, non è giunto sino a noi il nome di un solo politico? E che è proprio con l’apparire sulla scena senese dei ”grandi politici” dei nostri giorni, il cui nome infatti sopravvivrà nella storia futura, è cominciata la demolizione di quegli enti giganteschi creati dagli anonimi gnomi senesi del Medioevo e quindi anche la demolizione della nostra sostanziale prosperità? Eppure quegli gnomi ci hanno lasciato un messaggio chiarissimo addirittura sulle pareti del Palazzo affinché anche noi, lontanissimi pronipoti, ne seguissimo l’esempio. E’ l’affresco del Buono e del cattivo governo, dove viene spiegato ai contemporanei e ai posteri cosa succede quando governa uno solo (il tiranno) e cosa succede quando invece governano tutti i cittadini. Possibile che l’enorme, minacciosa pialla da falegname impugnata dalla Concordia affinché nessuno dei cittadini, tutti raffigurati sotto di lei rigorosamente della stessa altezza, osasse alzare la propria testa sopra gli altri, non insegni più niente? Come sarebbe stata “ripiallata” la testa dei “principi”, da Luigi Berlinguer a Giuseppe Mussari? Ed ora quella di Alessandro Profumo?
E siccome non abbiamo tenuto conto di quegli insegnamenti ora stiamo perdendo gli enti di cui sopra e l’enorme indotto da essi prodotto. Per secoli a Siena ogni generazione ha lasciato alle successive più di quanto avesse eredito dalle precedenti. La nostra è la prima generazione che lascia alle generazioni future meno, ma parecchio meno per non dire niente, di quello che ha ricevuto dalle passate. Come e dove, per nostra esclusiva colpa, vivranno i nostri figli e nipoti? E cosa ne sarà di questa città?