Dal garantismo al giustizialismo in poco tempo
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SIENA. “La salvezza di questo mondo non risiede altrove se non nel cuore dell’uomo, nella sua gentilezza nella sua responsabilità e nella sua capacità di verità” (Vaclav Havel)
Rimasta come stordita dal terremoto politico, economico e culturale, che l’ha investita, la Comunità senese stenta a ritrovare le ragioni della sua prospettiva futura. Anzi, nel giro di breve tempo, l’atteggiamento mite, muto, garantista e garantito dell’intera città ha ceduto il passo a una voglia aspecifica di veder scorrere il sangue, comunque e di chiunque sia. Legittimo, ma pericoloso, perchè l’aspirazione di verità storica, che va scrupolosamente perseguita, ha bisogno di lucidità e tenacia, non certo di sola emotività, sia per ricostruire l’avvio di un rinnovato futuro politico e culturale, sia per stabilire i vari gradi di responsabilità di ciò che è avvenuto, per i ruoli esercitati e ricoperti da ciascuno.
Il dibattito sullo Statuto della Fondazione può essere un’occasione per entrare nel merito di quella Democrazia Sociale, quale dovrà essere la Fondazione, nel futuro, drammi finanziari permettendo, se saprà rafforzare i legami organici di rappresentatività, responsabilità, affidabilità e trasparenza con i propri interlocutori naturali, non solo gli enti territoriali, ma anche i soggetti della società civile, nel modo e nei termini in cui l’intera Comunità saprà fare proposte e dare indicazioni.
E’ dunque sbagliato sottrarsi alla discussione sullo Statuto, rinunciando a perseguire il massimo della qualità dei cambiamenti proposti, invocando la delegittimazione degli organi della Fondazione, come enunciazione assoluta, e di fatto regalando alla Comunità, ancora per altri quattro anni, regole ritenute vecchie, antistoriche e clientelari.
Personalmente ho da anni denunciato “la lottizzazione e l’incompetenza” di un sistema politico di nomine, cominciando dalla mia persona, usando toni forti e provocatori, giustappunto perchè si fosse costretti a ripensare a un sistema.
Più volte, per questo sono state invocate le mie dimissioni da parte del P.D.
Mi rendo perfettamente conto quanto sia difficile parlare della Fondazione, senza suscitare un moto di riprovazione e di sdegno: la ricerca della verità storica, anche per questo organismo, articolerà le responsabilità dei vari accadimenti, ma occorre che alcuni passaggi vengano conosciuti dalla collettività.
Se nel 2007 qualcuno di noi, della Deputazione Generale non avesse visto alcuni documenti sull,Aereoporto di Ampugnano, forse non saremmo arrivati in tempo ad un suo ripensamento e a tutto ciò che ne è seguito, compresa quella straordinaria risposta democratica collettiva, che ha significato uno dei momenti più alti della storia cittadina degli ultimi dieci anni.
Fin dal 2010, dentro questo stesso organismo, alcuni di noi hanno sollevato critiche e perplessità sui vertici della Banca, dubbi smontati senza indugio, nello stupore e nella riprovazione generale di un sistema politico supponente e sordo a tutti i segnali.
Di li’ a poco, da parte dei medesimi, fu invocata una piena discontinuità, per gli stessi soggetti, ma dovemmo pazientemente aspettare la primavera 2012 e la naturale scadenza del mandato di Mussari, perchè ciò accadesse. Ma c’è di più, qualcuno se n’è appropriato l’esclusivo merito.
Siena per rinascere deve abbandonare la memoria corta.
A tutta la puntuale folta schiera dei Soloni dell’ultim’ora: quelli dell’ “io lo sapevo” “io l’avevo detto di scendere sotto il 51%…” “l’Antonveneta io l’avrei…”o del ” tutto andava meglio quando andava peggio” vorrei ricordare che alcuni di loro frequentavano pazientemente e senza vergogna, le anticamere dei potenti, chi da “clientes”, chi da ” vassallo o valvassino”, spesso accontentandosi delle briciole di un sistema che ha comprato il silenzio di molti, ma non di tutti.
La città saprà voltar pagina, se saprà rivedere la sua autosufficienza, se saprà ripensare alla “senesità” con umiltà e lungimiranza, ma, soprattutto, se saprà promuovere una classe dirigente coraggiosa e sincera, consapevole che ogni stagione regala pronubi e moralizzatori di basso profilo, e che la bandiera del dissenso non l’ha impugnata solo l’Aurigi, ma molti altri, magari con toni meno beceri ma , non per questo, meno validi, nel silenzio assordante di una stampa serva e complice e nell’indifferenza colpevole di un ottuso dogmatismo.
Antonella Eleonora Buscalferri