di Michele Pinassi*
“L’intelligenza si inventa coerenze per dormire sonni tranquilli.
Fin quando non irrompe l’assurdo.” (Nicolás Gómez Dávila)
Oggettivamente, sono problemi ridicoli se confrontati con coloro che da due mesi non guadagnano niente. Con chi, oltre a questo, rischia di non ripartire sommerso dai debiti. Con chi vive recluso in un piccolo appartamento di pochi metri quadri, senza un minimo di verde intorno. Con chi ha un familiare ricoverato o, purtroppo, deceduto, senza aver potuto neppure salutarlo per l’ultima volta.
Almeno qui ho l’ADSL, che mi permette non solo di lavorare ma anche di restare in contatto con il mondo. C’è chi non ha neppure l’accesso a Internet, sia perché non può permetterselo che a causa del digital divide. L’assenza d’investimenti nelle infrastrutture digitali adesso inizia a fare male, non solo all’economia.
Quindi, cosa potrei dire al presidente Conte? Dirgli forse che domenica sera, quando si è presentato in TV davanti a tutti gli italiani, mi sono sentito trattato come un bambino di 11 anni e non, invece, come un cittadino contribuente di oltre 40?
Potrei dirgli che la prima fase dell’emergenza, quella in cui il gran caos ha richiesto misure estreme, dopo due mesi dovrebbe essere ormai superata? Che adesso il Governo deve farci vedere cosa ha fatto per NOI cittadini, e non il contrario? Si sono sprecate le task force, commissari, conferenze stampa, gli annunci e le spese pazze (penso ai milioni di euro spesi in mascherine praticamente inutili…). Spese “pazze” che paghiamo noi e che andranno a erodere le disponibilità necessarie per far ripartire l’economia, per potenziare la sanità, per migliorare la scuola e la ricerca. Non esistono pranzi gratis, caro presidente Conte. Lo sappiamo bene, noi generazione X, che ancora oggi scontiamo le scellerate decisioni dei governi degli anni ’90, a iniziare dai baby pensionati. Che nel litro di benzina ancora oggi paghiamo le accise per la Guerra di Abissinia. Ricordiamo bene il prelievo forzoso sui conti correnti dell’allora Presidente Amato nel 1992. Piangiamo i nostri morti ma pensiamo anche a chi rimarrà vivo e, probabilmente, dovrà affrontare i prossimi anni in una crisi economica di proporzioni enormi.
Caro presidente Conte, so di essere un “privilegiato”. Ma faccio parte della società in cui vivo, della collettività. Il mio (magro) stipendio garantito servirà anche al negozio di alimentari del paese per andare avanti. Servirà a pagare, attraverso le tasse versate all’erario, i contributi a chi è in CIG. I bonus, gli aiuti e molto altro. Servirà a mantenere aperte le scuole pubbliche e accesi i lampioni per le strade.
Da quanto è iniziato il lockdown, pur non comprendendo l’utilità di alcune imposizioni, mi sono impegnato a rispettarle tutte. Iniziando dalla mascherina, dai guanti e dall’isolamento sociale. Ho capito da solo l’importanza di dover contenere il dilagare dell’epidemia. Ho compreso la responsabilità che ognuno di noi ha, in questo momento più che mai, per superare nel modo migliore possibile questa crisi.
Potrei chiederle, gentile signor presidente, di non trattarmi come un bambino di 11 anni? Di non usare quel tono paternalistico da martire di una causa che, in tutta sincerità, faccio sempre più fatica a vedere? Non credo di meritarlo. Ci dica, piuttosto, senza troppo tergiversare: come pensa di far andare avanti questo Paese?
La saluto cordialmente.
Firmato: un semplice cittadino italiano.
Gli eroi del giorno, entrambi locali, sono questo ragazzo che, sfinito dalla quarantena, ha corso il rischio di muoversi dalla Val d’Arbia fino a Colle per essere poi stato sanzionato: passare la notte con la ragazza non è ancora un valido motivo per spostarsi. L’altra eroina è questa signora 52enne di Montepulciano, multata per la sesta volta perché passeggiava lungo la strada senza motivo.
Un giorno ci guarderemo indietro e penseremo che, forse, non tutto è andato per il verso giusto. E chissà cosa penseranno di noi tra 100-200-300 anni…
*www.zerozone.it