Aurigi ripropone un articolo comparso 9 anni fa sul Cittadino cartaceo

Poiché mi sembra di cogente attualità, trascrivo qui il testo della lettera aperta all’allora sindaco Cenni, apparsa giusto 9 anni fa sul quotidiano “Il Cittadino”, allora cartaceo.
Si tratta del commento un po’ “lezzo” alla saccente affermazione del sindaco (intervista dell’Unità del 14/1/2003) circa la necessità di allargare la proprietà del Monte ai soci privati – diminuendo così la quota di proprietà della Fondazione – al fine, diceva lui, “di apportare alla Banca maggiore dinamicità e redditività”. S’è poi visto come, a forza di “maggiore dinamicità e redditività” dei privati, è andata a finire.
di Mauro Aurigi
Ma come, signor sindaco, non sono passati neanche sette anni da quando noi Senesi siamo stati costretti a consegnare alla privatizzazione (cioè al Suo partito) il Monte dei Paschi, ossia la banca che era stata fino ad allora la più dinamica e redditizia, la più capitalizzata, la più dotata di mezzi propri, insomma la più solida d’Italia e forse d’Europa, e già si sente il bisogno di maggiore dinamicità e redditività? Cos’è successo signor sindaco? La Banca ha dei problemi? Avete battuto in fulmineità e destrezza la vecchia Dc, che pure una bella fama di sciupa-banche se l’era fatta? E poi quanto al fatto che nuovi soci privati comportino maggiori capacità di dinamismo e redditività (maggiori rispetto agli amministratori che avete nominato nella Fondazione e nella Banca? ma a chi avete consegnato il nostro patrimonio?), sta scherzando vero, signor sindaco? Ma dove trova in Italia imprenditori privati che in fatto di banche abbiano dimostrato più capacità, dinamismo e redditività del Monte? Se ci fossero stati, una loro banca se la sarebbero fatta già da tempo e da soli, non Le pare? No, in Italia si trovano solo finanzieri d’assalto, quelli che prendono le società altrui, le svuotano e poi ne ributtano sul mercato la carcassa: l’ha mai sentito dire, signor sindaco? E poi almeno una parola di scusa proprio non la poteva spendere verso coloro, me compreso, che per cinquant’anni avete convinto ad una guerra senza quartiere (sì, proprio una guerra con morti e feriti veri) contro questi signori che oggi accogliete con le braccia aperte e il sorriso che va da un orecchio all’altro, signor sindaco?
Dott. Cenni, Lei è solo un sindaco (per giunta laureato in economia e funzionario del Monte) per cui non si può pretendere che capisca qualcosa della materia e che conosca la storia del Paese. Allora Gliene racconto un pezzettino io.
Le banche private in Italia, ossia quelle rette da quei privati che secondo Lei danno “maggiori garanzie di dinamicità e redditività”, hanno cominciato subito, sin dagli albori dello Stato unitario, a fallire. Sparirono tutte nella grande crisi economica di fine Ottocento, tra il 1880 e 1890 (Banca Generale, Banca Romana di Sconto, Società di Credito Generale e decine di banche minori), trascinandosi dietro ogni riserva finanziaria del Paese, per cui, dopo, il sistema bancario italiano fu ricostituito soprattutto con capitale privato tedesco. Ma anche le nuove banche fallirono intorno al 1930 nel corso dell’altra distruttiva crisi che seguì alla prima guerra mondiale: Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano, Banco Roma, Banco di Santo Spirito (salvate dallo Stato), due banche fiorentine (salvate dal Monte e fuse nella Banca Toscana), ecc. Nuovamente, nel secondo dopoguerra, le grandi banche private sono scomparse tutte, anche se in maniera più diluita nel tempo grazie al patto internazionale di Bretton Woods (1944) sul controllo dell’economia. Fatto sta che Banco Ambrosiano, Banca Privata Italiana, Istituto Bancario Italiano, Banca d’America e d’Italia, Credito commerciale, Banca Nazionale dell’Agricoltura ecc. oggi non sono che un ricordo. E ciò senza contare le centinaia di banche minori in crisi nel frattempo assorbite, viste le condizioni in cui versavano le banche private, esclusivamente dalle banche pubbliche. Perché questa è la realtà: alla fine si è scoperto che nelle grandi crisi che travolgevano le banche private, le banche pubbliche, grazie all’oculatezza ed alla secolare esperienza accumulata dalle comunità a cui appartenevano, erano invece prosperate e cresciute fino a diventare il pernio attorno al quale girava tutto il sistema bancario italiano, un sistema che si poteva alla fine chiamare tale soprattutto per la presenza di banche pubbliche come San Paolo, Cariplo e Monte, valutate in campo internazionale in assoluto come le migliori banche d’Italia. Tutto ciò premesso, ci vuole spiegare, dott. Cenni, lo zelo con cui il Suo partito si è dato alla privatizzazione di questi autentici gioielli finanziari?
Una risposta posso azzardarla io. Mi ricordo che nel corso di un convegno nazionale del Pds sul sistema bancario tenuto a Siena il 21.11.1996, l’allora numero due della Confindustria Callieri, freneticamente applaudito da D’Alema che presiedeva, definì “foresta pietrificata” (ossia inefficiente, un freno allo sviluppo del Paese) il sistema bancario italiano perché soprattutto in mani pubbliche. Chi scrive voleva domandargli –ma nel nome della libertà di espressione non gli fu concesso – se forse al “non pietrificato” capitale privato italiano, di cui Callieri stesso era uno dei massimi esponenti, erano mancati i mezzi per la realizzazione di efficienti e aggressive banche private che facessero scempio di quella foresta pietrificata, con guadagni in proporzione e con grande vantaggio per la nostra economia. Domanda retorica: infatti chi ci aveva provato era fallito ed allora perché rischiare ancora? Assai più conveniente aspettare che la sinistra, finalmente al potere, servisse alla razza padrona su un piatto d’argento e a prezzi di liquidazione quelle straordinariamente ricche banche pubbliche italiane (fu un atto d’imperio di stampo fascista perché lo Stato non ne era il proprietario) che per secoli avevano prosperato là dove i privati avevano fallito. D’Alema, allora capo del governo in pectore, era lì con la sua corte di “tecnici” per rassicurare i confindustriali a tale proposito. E la giunta Cenni, come quella Piccini, tiene fede all’impegno assunto da D’Alema: i finanzieri d’assalto privati hanno avuto e continueranno ad avere il Monte a meno di metà prezzo. Ciò significa che alla Città resterà una Fondazione che varrà si e no la metà di quello che valeva il Monte prima della privatizzazione: sono convinto che su questa operazione la sinistra si sia giocata il diritto di continuare a governare Siena.
PS. Nessuno si azzardi a pensare che questa mia sia una posizione di destra. Qui di destra (sia chiaro, una destra che comprende anche Rifondazione comunista) c’è solo la svendita del patrimonio pubblico. Esattamente quello che vuol fare anche Berlusconi in campo nazionale. E non lasciamoci ingannare: la destra senese, sulla questione Monte, è assolutamente appiattita sulla (si fa per dire) sinistra. E’ solo inviperita perché è esclusa dal festino.