Due parole con il magnifico rettore Unistrasi Pietro Cataldi sulla situazione Covid-19
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di Letizia Pini
SIENA. Seguendo l’andamento della situazione in generale, i dati forniti e quanto ogni giorno, se non ogni ora, viene riportato, dopo i suoi interventi sulla questione, siamo tornati a fare due chiacchiere con Pietro Cataldi, magnifico rettore dell’Università per Stranieri di Siena.
E’ una situazione molto fluida. Per quanto riguarda l’Italia la diffusione del virus recente ed è per ora limitata; ma purtroppo tutto lascia presupporre che crescerà: quando, non è dato saperlo.
Senza dubbio in questo periodo da noi ci sono stati molti più incidenti domestici dei contagiati da Covid-19. E molti più morti per le complicazioni della banale influenza che determina fra i 5.000 e i 10.000 morti all’anno (e nonostante la possibilità di vaccinarsi, solo una minoranza delle persone oggi terrorizzate dal nuovo contagio si sottopone al vaccino).
In Cina, che è il paese colpito più fortemente, la situazione sembra già aver raggiunto il suo picco e i guariti stanno superando i nuovi contagiati: un segno, se confermato, rassicurante. Secondo i maggiori virologi ed epidemiologici, se il virus non avrà una mutazione che lo renda più aggressivo e pericoloso, la pandemia avrà infine un impatto relativamente contenuto. Altrimenti, le cose andranno riviste e ridefinite.
In ogni caso, l’allarme che si è impossessato del nostro paese non è né utile né giustificato: indica una fragilità del tessuto civile che è a mio giudizio il dato più preoccupante. Ci si contende una confezione di disinfettante, l’ultima porzione di cibo negli scaffali di supermercati insensatamente presi d’assalto.
E’ scattato in molti un istinto egoista di conservazione individuale, benché sappiamo bene che l’istinto di difesa della specie, cioè l’istinto solidaristico e generoso, rende più forti e più sicuri, come ci mostrano gli animali più evoluti. L’altro diventa perturbante, che sia il rivale di un accaparramento di cibo o sia l’orientale sul quale viene proiettata la paura atavica e irrazionale del contagio. E purtroppo i media, che hanno in simili situazioni una funzione decisiva, si sono talvolta comportati con leggerezza, enfatizzando l’allarme e il pericolo, e generando un panico, ripeto, dannoso e ingiustificato.
Ma di fatto, quanto ha inciso il fenomeno al momento sulla ripresa della didattica?
Fortunatamente – risponde – eravamo in ‘silenzio didattico’ al momento dell’arrivo problematico del caso. La didattica è ripresa da dieci giorni, e valutiamo di giorno in giorno – d’intesa con gli altri atenei toscani, con la Regione e con i ministeri di Roma – l’opportunità di proseguirla o di interromperla prudenzialmente.
Ma la vera prudenza è comunque quella di non spostarsi in zone dove sono presenti focolai di infezione e di tenere comportamenti igienici corretti. In ogni caso, nel nostro ateneo studenti cinesi (in Italia da tempo e dunque privi di rischi particolari) e studenti di altri cento paesi del mondo condividono senza problemi lo stesso spazio. Enfatizza: “Preoccupante è invece il danno che le misure prudenziali assunte porteranno al turismo (l’Italia riceve tre milioni di turisti cinesi ogni anno) e all’economia in generale; così che dobbiamo davvero fare il possibile perché il contagio si diffonda il meno possibile e soprattutto perché non si diffonda il panico.
E cosa si può dire degli episodi di intolleranza che si sono registrati anche da noi in città?
Purtroppo – sottolinea – viviamo un periodo storico di maggior insicurezza rispetto a qualche decennio fa e di molta frustrazione. In molti hanno perso la certezza di una prospettiva di lavoro e di benessere, anche a Siena, e questo provoca frustrazione e paura.
Questa frustrazione e questa paura sono un dato di fondo che tende a catalizzarsi, ad accendersi in modo razzistico alla prima occasione. Ecco che il diverso diventa l’occasione perché questa paura emerga in una forma incontrollabile. Piuttosto che avere paura di non avere lavoro o più soldi o di perdere la casa, una persona può preferire di avere paura del contagio di un cinese: una paura irrazionale ma che può essere gestita meglio, con un gesto di fastidio o addirittura con un’aggressione aperta.