AREZZO. Dall’incontro con Abi di ieri sono emersi interessanti spunti di riflessione. Ciò che più va nella direzione della semplificazione dei prospetti finanziari è, secondo l’Associazione Bancaria Italiana, il Kid: si tratta di una delle novità introdotte dalla Mifid2 e, teoricamente, divenuto obbligatorio dal gennaio 2018. Il kid è un documento sintetico (non più di tre pagine di stampa A4) di natura precontrattuale, pensato per consentire all’investitore al dettaglio di assumere decisioni di investimento consapevoli e informate. Deve essere redatto dalle banche evitando la terminologia troppo tecnica, con una comunicazione chiara e facilmente comprensibile.
A prima vista si tratta sicuramente di una novità importante ma, nonostante questo importante passo in avanti, sostanzialmente non cambia nulla in termini di “consapevolezza” per il risparmiatore, per i seguenti motivi:
- Il kid viene comunque rilasciato al risparmiatore insieme alla classica informativa composta da decine di pagine, dove il prodotto finanziario viene descritto con una terminologia di difficile comprensione.
- spesso e volentieri le informative (e quindi anche il kid) vengono inviate per posta elettronica, senza nessuna spiegazione da parte dell’emittente. È facile pensare quindi che queste informazioni siano lette da una bassissima percentuale di risparmiatori.
- Questo “documento semplificato” viene comunque redatto dalla banca stessa (!!) e non da Consob.
- Infine, e non è un dettaglio da poco, se andiamo a leggere questo schema semplificato ci accordiamo che comunque tanto semplice non è.
Probabilmente occorrerebbe lavorare ad una ulteriore semplificazione, e soprattutto sarebbe importante che la firma del contratto di acquisto del risparmiatore sia apposta proprio in questo prospetto semplificato, per essere certi che l’acquisto sia avvenuto solo dopo la lettura del Kid.
Ma rimane comunque aperta una questione fondamentale: per quanto possiamo lavorare alla trasparenza nella descrizione di questi prodotti tutto sarà inutile se non ci occupiamo prima di altri due fattori determinanti: la vendita in conflitto di interesse e i premi per il personale al raggiungimento di un determinato budget.
La maggior parte dei risparmiatori che investono nella propria banca lo fanno fidandosi ciecamente dell’impiegato. Senza aprire qui un dibattito su onestà e deontologia professionale, appare evidente che finché le banche antepongono il budget agli interessi dei clienti, alcuni impiegati troveranno sempre il modo di “rifilare” certi prodotti.
In poche parole le banche vendevano (e vendono) prodotti strategici per le banche stesse, senza tener conto delle esigenze del cliente, in palese conflitto di interessi.
Guarda caso tutti i prodotti che consentono alla banca di fare maggiori profitti, sono i prodotti più venduti ai risparmiatori italiani. Questo perché agli stipendi fissi del personale si aggiungono premi o bonus nel caso in cui i bancari riescano a vendere un determinato prodotto finanziario -che di solito è molto interessante per la banca e poco per il risparmiatore- invece che cercare di capire e soddisfare le reali necessità del cliente.
Qualcosa deve pertanto cambiare anche in questa direzione
Letizia Giorgianni – presidente Associazione Vittime del Salvabanche