Nove i territori candidati Fao: tre in provincia di Siena
Il centro di ricerca sul paesaggio, che non casualmente nasce in Toscana, che “dal 2014 – ricorda l’assessore – si è dotata di una legge per la tutela del paesaggio”, vedrà la collaborazione di Regione e università.
“A breve – spiega Barni – sottoscriveremo il protocollo e l’aspetto più importante è che vedrà collaborare tra loro agronomi e storici, storici dell’arte, economisti e giuristi, in un approccio multidisciplinare con metodologie, prospettive e strumenti di analisi molto diversi tra loro. Un approccio olistico che in fondo è parte anche del Giahs e del master toscano finanziato con due milioni di euro dall’Agenzia per la cooperazione del Ministero degli esteri con il supporto anche dalla Regione e della Fao.
“La giunta regionale in questa legislatura si impegnata molto sull’alta formazione e ricerca – ricorda ancora Barni – essenziali per fa da volano allo sviluppo ed anche ad uno sviluppo sostenibile. E fin dall’inizio abbiamo creduto al progetto legato al programma Giahs”.
L’incontro e la tavola rotonda di stamani a Firenze costituiva l’occasione per presentare i risultati del primo anno di attività, che si è svolta lungo due binari: da un lato l’individuazione di siti da preservare in Toscana e in Italia – luoghi dove ambiente, tecnica, cultura e tradizione (che non è mai immobile ma semmai una lenta linea in movimento) hanno creato un tutt’uno, luoghi dove il paesaggio è frutto dell’interazione con l’uomo alla fine – e dall’altro un aiuto a formare personale per gestire altrove quei siti.Entrare a far parte del patrimonio mondiale Fao è un po’ l’equivalente dei siti Unesco per la cultura. Sono 57 quelli di tutto il mondo ad oggi iscritti, distribuiti in ventuno diversi paesi, di cui due in Italia, le colline vitate del Soave e gli ulivi secolari pedemontani tra Assisi e Spoleto; ma ben 126 sono i siti potenziali, di cui nove in Toscana: dai vigneti terrazzati, invasi negli anni dai boschi ed oggi riscoperti e preservati, di Lamole nel comune di Greve in Chianti ai castagneti secolari di Moscheta fino alla policoltura di Trequanda (tutti e tre già iscritti nel registro nazionale dei paesaggi storici rurali), dalle Biancane della Val d’Orcia ai castagneti monumentali dello Scesta, dalla collina di Fiesole al Montalbano attorno a Larciano. Ma anche le abetine della selvicoltura monastica di Vallombrosa o la montagnola senese di Spannocchia.
Cinque sono i criteri che un sistema agricolo deve rispettare per essere certificato Giahs: garantire la sicurezza alimentare e fornire cibo di qualità, tutelare l’agrobiodiversirà, salvaguardare le conoscenze tradizionali, promuovere valori culturali e sociali, conservare il paesaggio tradizionale.Ma tutto questo deve essere fatto in un’ottica di sviluppo, è stato spiegato oggi al convegno. “Uno sviluppo magari alternativo, capace di far da traino anche al turismo. L’idea è creare un indotto”, spiega Mauro Agnoletti dell’Università di Firenze, coordinatore del progetto. Può essere la soluzione per speciali aree interne di tutto il mondo da dove la popolazione fugge e dove oggi non c’è sostenibilità economica. Conservare quei siti e rilanciarne anche l’economia sarà il compito dei manager formati con il master fiorentino, giunto al secondo anno: ventisei studenti da sedici paesi nel corso appena iniziato, la maggioranza ragazze, e venticinque da diciotto diverse nazioni nella prima edizione, i quali tra tutti i siti Giahs hanno selezionato venti modelli in tutto il mondo, esempi di gestione per mitigare l’emergenza climatica e il rischio idrogeologico preservando qualità degli alimenti, biodiversità e paesaggio. Anche i ragazzi e le ragazze hanno partecipato stamani hanno partecipato all’incontro in Regione.