Indovina il presidente: il gioco di fine estate
di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. I membri della Deputazione Generale della Fondazione Mps fino a qualche ora fa erano intorno al loro tavolo. Al centro della discussione la scelta del Presidente, della Deputazione Amministratrice e di annessi e connessi. I 14 deputati non sono arrivati ad un accordo per la scelta del futuro Numero Uno di Palazzo Sansedoni sebbene non ci siano nuovi nomi sul tavolo… almeno non ufficializzati. Pizzetti e Piazzi i nomi maggiormente quotati. In nessuno dei due casi possiamo parlare del famoso, tanto agognato “nuovo che avanza”. Sembra che, o si peschi nella città o fuori dalla città, non si possa prescidendere da legami politici più o meno stretti ma comunque di matrice Pd.
Pizzetti, lo abbiamo già ricordato, uomo di Prodi, di Amato… Piazzi tra i maggiori finanziatori del Pd senese grazie agli incarichi fino ad oggi ricoperti… e grande amico di C.
Ieri sera era spuntato dal cilindro di qualche giornalista ben informato, anche il nome altisonante del nobile umbro-toscano Lorenzo Bini Smaghi. Un nome, oltre che altisonante, anche più che preparato, compentente, con incarichi di prestigio persino nella Bce. Un economista che, al recente Festival dell’Economia, ha parlato di sostegno dello Stato al sistema bancario per uscire dalla crisi. Una idea “rivoluzionaria”, da lui stesso definita “impopolare” e che ha turbato i suoi colleghi e certamente ha fatto tremare qualche poltrona a Roma. L’indiscrezione circa il suo arrivo a Siena, comunque, è durata una notte. Pare, infatti, che l’economista abbia declinato l’invito. Un altro “gran rifiuto” dopo quello, rimasto nell’ambito delle suggestioni, di Romano Prodi.
Perdendo l’ennesima occasione di stare zitto, il sindaco Valentini ha detto a Radiocor che Bini Smaghi non è adatto alla Fondazione, preferendo continuare a puntare sul “sovicillino” Pizzetti. Perché il presidente della Fondazione “non dev’essere un manager, ma deve avere un ruolo diverso”, ha sentenziato.
Ed infine, un altro nome continua a volteggiare intorno al logo di Palazzo Sansedoni: quello di Divo Gronchi ma solo qualche settimana fa il diretto interessato aveva smentito.
Intanto i giornali nazionali non smettono di aggiungere particolari alla triste storia della Fondazione Mps: da padrona al 51 per cento di una banca solida a povera azionista al 10 per cento o anche meno (prossimo futuro) di una banca fragile e vicina alla nazionalizzazione.
Con l’uscita di scena di Gabriello Mancini, che ha scaricato le responsabilità del disastro su Mussari (reo di averlo ingannato) e sui rappresentanti politici (che spingevano a fare scelte strategiche: dalla distribuzione degli utili all’acquisizione disastrosa di Antonveneta), si evidenziano altri aspetti delle vicende finanziarie che hanno portato a bruciare un patrimonio di 17 miliardi.
Un interessante articolo de Linkiesta a firma di Camilla Conti torna a parlare delle operazioni che hanno portato all’indebitamento della Fondazione Mps oltre il limite imposto dallo Statuto allora vigente, ma di qeusto anche Red aveva più volte disquisito). Si ribadisce anche il ruolo poco incisivo degli organi controllori. Ad esempio delle comunicazioni fuorviate (o fuorvianti) arrivate al Ministero dell’Economia; alla mancanza di approfondimenti richiesti ed effettuati sotto Vittorio Grilli, come da lui stesso riferito agli inquirenti.
La rete di relazioni che ha tenuto collegati i vertici dei partiti egemoni – in Italia come a Siena – ritorna a “illuminare” e spiegare gli angoli bui di tutte le vicende economiche/finanziarie/politiche dell’ultimo ventennio. Se si potesse realizzare uno schema come in quel giochino immancabile nella “Settimana Enigmistica” chiamato “Unisci i punti” dove, al posto dei numeri si potessero mettere i nomi dei soliti noti (politici nazionali e locali di spicco, economisti e finanzieri, imprenditori e comunicatori di livello), scopriremmo probabilmente il disegno perfetto: un labirinto di strade che non sono mai chiuse verso l’interno ma da cui non si riesce mai ad uscire… E neppure ad entrare.
Tagliare i fili, i collegamenti, resta l’unico modo per uscire dalla rete nella quale siamo rinchiusi come pesci d’allevamento.
Il nome che avevamo proposto per la Fondazione Mps, quello dell’avvocato Luigi De Mossi, ha trovato il consenso di molti dei nostri lettori anche solo per la certezza che non ci sono fili che lo collegano ad un passato che la città (quella consapevole, almeno) vuole cancellare. E sfidiamo i fabbricanti di fango, già in azione, ad adoprarsi e passare dalle allusioni ai fatti.
Ma forse non è solo l’indipendenza reale di questo o di altri nomi a far paura agli apparati decisionali ancora a pieno regime.
Sebbene ci possano essere a Siena (e fuori Siena dove ci si ostina a guardare) competenze e capacità specifiche, la priorità da cui non si può prescindere è la totale estraneità a questa rete che ormai si vede anche a occhio nudo e che da decenni impedisce il libero movimento dei pensieri e delle scelte degli individui. Ma il secondo punto dirimente, quello su cui è richiesta una buona dose di fiducia, è l’integrità morale di un uomo che verrà posto a capo di un ente in crisi che deve fare i conti con il proprio passato e risollevarsi con forze che ancora non si individuano chiaramente.
L’onestà dovrebbe essere tra gli argomenti di maggiore confronto sul tavolo della Deputazione Generale. E quella viene fuori dall’analisi, oltre che del curriculum, della storia pubblica di un individuo. Non c’è bisogno di aggiungere altro.
Siamo convinte che, nell’alveo degli onesti senesi ci siano competenze di tutto rispetto, così come siamo convinte che sono in pochi a pensare che vengano anche solo prese in considerazione, diciamo per cinque minuti, dai 14 donne e uomini che rappresentano oggi l’ente senese in cerca di un presidente.
Ci ha stupito un po’, invece, leggere che ci sarebbe un’autocandidatura per la deputazione amministratrice. Un “professionista senese conosciuto”, come scriviamo in un altro articolo. Ci teniamo a dissipare i dubbi che, a questo punto, potrebbero venire ad alcuni dei nostri lettori: il professionista in questione non è il De Mossi. Siamo curiose quanto il resto della città circa questo fantomatico autocandidato. Prima di riderci sopra preferiremmo conoscerne il nome: perchè è quello che fa la differenza e che può rendere ridicola o coraggiosa l’azione di avanzare il proprio nome per un incarico.
Avremmo voluto sentire la voce dei consiglieri di opposizione: sentire i nomi dei loro candidati ideali e le ragioni delle candidature. Avremmo voluto – ma a quanto pare abbiamo ancora qualche giorno (esattamente fino al 27 agosto) per far sentire la nostra voce – che la città desse prova di condivisione e di attaccamento alle proprie istituzioni aprendo liberamente un “tavolo di confronto” sul futuro della Fondazione Mps. Un’operazione di trasparenza e di democrazia che, forse, avrebbe fatto sentire meno soli i deputati impegnati nella scelta degli vertici di Palazzo Sansedoni e che li avrebbe indirizzati verso una più consapevole responsabilità.
“Non è la libertà che manca; mancano gli uomini liberi”, diceva Leo Longanesi nel 1957. Una frase che spaventa e che genera dubbi in chi non riesce a dare un senso alla propria vita senza quell’indispensabile qualità con cui ama autodefinirsi. No: non mancano gli uomini liberi; magari scarseggiano e, per questo, occorre, quando si individuano, dargli spazio, luce e sostegno affinchè la “malattia” di cui sono portatori sani contagi quante più persone possibili.
Pizzetti, lo abbiamo già ricordato, uomo di Prodi, di Amato… Piazzi tra i maggiori finanziatori del Pd senese grazie agli incarichi fino ad oggi ricoperti… e grande amico di C.
Ieri sera era spuntato dal cilindro di qualche giornalista ben informato, anche il nome altisonante del nobile umbro-toscano Lorenzo Bini Smaghi. Un nome, oltre che altisonante, anche più che preparato, compentente, con incarichi di prestigio persino nella Bce. Un economista che, al recente Festival dell’Economia, ha parlato di sostegno dello Stato al sistema bancario per uscire dalla crisi. Una idea “rivoluzionaria”, da lui stesso definita “impopolare” e che ha turbato i suoi colleghi e certamente ha fatto tremare qualche poltrona a Roma. L’indiscrezione circa il suo arrivo a Siena, comunque, è durata una notte. Pare, infatti, che l’economista abbia declinato l’invito. Un altro “gran rifiuto” dopo quello, rimasto nell’ambito delle suggestioni, di Romano Prodi.
Perdendo l’ennesima occasione di stare zitto, il sindaco Valentini ha detto a Radiocor che Bini Smaghi non è adatto alla Fondazione, preferendo continuare a puntare sul “sovicillino” Pizzetti. Perché il presidente della Fondazione “non dev’essere un manager, ma deve avere un ruolo diverso”, ha sentenziato.
Ed infine, un altro nome continua a volteggiare intorno al logo di Palazzo Sansedoni: quello di Divo Gronchi ma solo qualche settimana fa il diretto interessato aveva smentito.
Intanto i giornali nazionali non smettono di aggiungere particolari alla triste storia della Fondazione Mps: da padrona al 51 per cento di una banca solida a povera azionista al 10 per cento o anche meno (prossimo futuro) di una banca fragile e vicina alla nazionalizzazione.
Con l’uscita di scena di Gabriello Mancini, che ha scaricato le responsabilità del disastro su Mussari (reo di averlo ingannato) e sui rappresentanti politici (che spingevano a fare scelte strategiche: dalla distribuzione degli utili all’acquisizione disastrosa di Antonveneta), si evidenziano altri aspetti delle vicende finanziarie che hanno portato a bruciare un patrimonio di 17 miliardi.
Un interessante articolo de Linkiesta a firma di Camilla Conti torna a parlare delle operazioni che hanno portato all’indebitamento della Fondazione Mps oltre il limite imposto dallo Statuto allora vigente, ma di qeusto anche Red aveva più volte disquisito). Si ribadisce anche il ruolo poco incisivo degli organi controllori. Ad esempio delle comunicazioni fuorviate (o fuorvianti) arrivate al Ministero dell’Economia; alla mancanza di approfondimenti richiesti ed effettuati sotto Vittorio Grilli, come da lui stesso riferito agli inquirenti.
La rete di relazioni che ha tenuto collegati i vertici dei partiti egemoni – in Italia come a Siena – ritorna a “illuminare” e spiegare gli angoli bui di tutte le vicende economiche/finanziarie/politiche dell’ultimo ventennio. Se si potesse realizzare uno schema come in quel giochino immancabile nella “Settimana Enigmistica” chiamato “Unisci i punti” dove, al posto dei numeri si potessero mettere i nomi dei soliti noti (politici nazionali e locali di spicco, economisti e finanzieri, imprenditori e comunicatori di livello), scopriremmo probabilmente il disegno perfetto: un labirinto di strade che non sono mai chiuse verso l’interno ma da cui non si riesce mai ad uscire… E neppure ad entrare.
Tagliare i fili, i collegamenti, resta l’unico modo per uscire dalla rete nella quale siamo rinchiusi come pesci d’allevamento.
Il nome che avevamo proposto per la Fondazione Mps, quello dell’avvocato Luigi De Mossi, ha trovato il consenso di molti dei nostri lettori anche solo per la certezza che non ci sono fili che lo collegano ad un passato che la città (quella consapevole, almeno) vuole cancellare. E sfidiamo i fabbricanti di fango, già in azione, ad adoprarsi e passare dalle allusioni ai fatti.
Ma forse non è solo l’indipendenza reale di questo o di altri nomi a far paura agli apparati decisionali ancora a pieno regime.
Sebbene ci possano essere a Siena (e fuori Siena dove ci si ostina a guardare) competenze e capacità specifiche, la priorità da cui non si può prescindere è la totale estraneità a questa rete che ormai si vede anche a occhio nudo e che da decenni impedisce il libero movimento dei pensieri e delle scelte degli individui. Ma il secondo punto dirimente, quello su cui è richiesta una buona dose di fiducia, è l’integrità morale di un uomo che verrà posto a capo di un ente in crisi che deve fare i conti con il proprio passato e risollevarsi con forze che ancora non si individuano chiaramente.
L’onestà dovrebbe essere tra gli argomenti di maggiore confronto sul tavolo della Deputazione Generale. E quella viene fuori dall’analisi, oltre che del curriculum, della storia pubblica di un individuo. Non c’è bisogno di aggiungere altro.
Siamo convinte che, nell’alveo degli onesti senesi ci siano competenze di tutto rispetto, così come siamo convinte che sono in pochi a pensare che vengano anche solo prese in considerazione, diciamo per cinque minuti, dai 14 donne e uomini che rappresentano oggi l’ente senese in cerca di un presidente.
Ci ha stupito un po’, invece, leggere che ci sarebbe un’autocandidatura per la deputazione amministratrice. Un “professionista senese conosciuto”, come scriviamo in un altro articolo. Ci teniamo a dissipare i dubbi che, a questo punto, potrebbero venire ad alcuni dei nostri lettori: il professionista in questione non è il De Mossi. Siamo curiose quanto il resto della città circa questo fantomatico autocandidato. Prima di riderci sopra preferiremmo conoscerne il nome: perchè è quello che fa la differenza e che può rendere ridicola o coraggiosa l’azione di avanzare il proprio nome per un incarico.
Avremmo voluto sentire la voce dei consiglieri di opposizione: sentire i nomi dei loro candidati ideali e le ragioni delle candidature. Avremmo voluto – ma a quanto pare abbiamo ancora qualche giorno (esattamente fino al 27 agosto) per far sentire la nostra voce – che la città desse prova di condivisione e di attaccamento alle proprie istituzioni aprendo liberamente un “tavolo di confronto” sul futuro della Fondazione Mps. Un’operazione di trasparenza e di democrazia che, forse, avrebbe fatto sentire meno soli i deputati impegnati nella scelta degli vertici di Palazzo Sansedoni e che li avrebbe indirizzati verso una più consapevole responsabilità.
“Non è la libertà che manca; mancano gli uomini liberi”, diceva Leo Longanesi nel 1957. Una frase che spaventa e che genera dubbi in chi non riesce a dare un senso alla propria vita senza quell’indispensabile qualità con cui ama autodefinirsi. No: non mancano gli uomini liberi; magari scarseggiano e, per questo, occorre, quando si individuano, dargli spazio, luce e sostegno affinchè la “malattia” di cui sono portatori sani contagi quante più persone possibili.