
di Enrico Campana
SIENA. Alla fine fra tanta Europa i mondiali li hanno vinti gli americani, costruendo per la prima volta una squadra in “stile europeo”. Un forte quintetto, 2-3 specialisti in panchina e via andare, un mix di giovani e di vecchi: E non tutte star, vedi Chauchey Billups. Si tratta di un (forse) play 34 anni, non un crack e l’ha dimostrato nella finale, sbagliando 5 canestri su 5 coi turchi.
Alla fine, ma solo alla fine, la squadra americana (che stava per perdere col Brasile nelle qualificazioni), ha potuto fregiarsi del titolo di “Dream Team”, grazie a quell’immenso giocatore che si chiama Kevin Durant, il più giovane capocannoniere della NBA con i suoi 21 anni. Un tipo che fa basket musicale più che spettacolare, che farà sloggiare Kobe Bryant e LeBron James dai favoriti e considerato dai fans, non solo quelli della sua Oklahoma, indiscutibilmente il nuovo Michael Jordan.
Alla fine gli americani hanno riconquistato un titolo dopo aver fatto di tutto per… perdere nei precedenti 16 anni, ma dovevano assolutamente vincere questa medaglia, dopo l’oro di Pechino, perché assicura la partecipazione a Londra, traguardo finale per il trittico che vale in tutti i sensi oro in termini di contratti e prestigio, oltre che di gloria personale per “coach" Kryszewski. Uno che sulle nostre panchine, con la mentalità vincente (?) dei nostri dirigenti-parvenu, forse non finirebbe la stagione. Grande lezione di pragmatismo da parte dei padroni del basket: mai vincere troppo, programmare tutto, anche le sconfitte. Perché in campo ci vanno l’allenatore e i giocatori, non i manager.
Alla fine le squadre migliori sono quelle che hanno rinnovato. Perciò la squadra rivelazione è stata la Lituania, quella che ha rinnovato più delle altre. Ha pensionato da un giorno all’altro i gemelli Lavrinovic, Petravicius e Kaukenas (tre dei quali godranno i benefici della loro carriera nel Bel Paese), non ha dovuto pregare in ginocchio la sua star Jasikevicius.
Alla fine chi ha acquistato la wild card ha fatto buoni affari, l’importante è esserci, e addirittura la rivelazione del primo mondiale con questa novità è stata, guarda caso, sempre la Lituania, ma è piaciuta anche la Russia.
Alla fine nessuno ha rimpianto l’assenza dell’Italia. L’importante nella vita è esserci, magari farsi poi trovare puntuale al momento delle occasioni. Il non voler esserci è senso di rifiuto della sfida, poca creatività. Come ho scritto a suo tempo, ripeto perciò, che è stato un errore non acquistare una wild card alla modica cifra di 600 mila euro, quando potevamo mettere in campo due nazionali. Ce l’ha dimostrato proprio Simone Pianigiani, che ha aperto lo “spettro” dei probabili azzurri a 24 nomi, per cui bastavano i 12 lasciati a casa per fare meglio dell’Angola o della Cina, arrivate agli ottavi.
Alla fine, l’ipotesi di giocare contro il Dream Team, ad esempio, avrebbe potuto spingere anche Danilo Gallinari ad essere della partita. Occasione mancata, soprattutto per un movimento, e soprattutto per la Federbasket che ha avviato una politica di marketing, che però ha scelto le pay Tv perché non riesce ad andare in quelle commerciali né in quella di Stato, dove si ragiona per indici di ascolto, al di là di quel milione di spettatori (stima della Federazione) per la telecronaca Rai di Israele-Italia. Sempre un terzo di quel 3,4 milioni di spettatori che nel ’91 assicurò la nazionale azzurra agli Europei di Roma.
Alla è stato un anno-no a livello internazionale per i nostri allenatori, fino a ieri la crema del basket italiano; i mondiali portano allo sconto alcune realtà documentali. Tanto di cappello a Bogdan Tanjevic, azzurro d’adozione ma cittadino del mondo, che ci ha regalato l’oro europeo del ’99 e torna a Roma, dopo l’eroica prima medaglia del basket turco.
Alla fine (della fiera) Sergio Scariolo reduce dal flop con Khimki con la Spagna ha perso ben 4 partite, troppe, scontato quindi che le “furie rosse” lasciassero in Turchia il titolo mondiale (conquistato da altri) con i brontolii di Juan Carlos Navarro per la cattiva difesa. Da parte sua Ettore Messina nel suo primo anno da prima star al Real Madrid ha perso la Liga e il resto, e non è riuscito a qualificarsi per le Final Four come faceva puntualmente col Cska.
Alla fine è sotto la sufficienza, se parametrata col 93 per cento di successi mensanini, anche la campagna internazionale di Simone Pianigiani. Non è riuscito a portare la sua (e qui metto l’accento sul pronome…) prima nazionale agli Europei, salvato dall’intervenire Dino Meneghin, ancora una volta decisivo per i destini del basket italiano. Idem con patate per l’Eurolega, con una sola Final Four negli anni dei 4 scudetti (e tutto il resto).
Alla fine spero che Simone Pianigiani prenda atto della lezione del campo, sperando che leggere certe riflessioni libere (e dissonanti) non pensi a Cassandra ma le ritenga utili. Stimo moltissimo Pianigiani (lapsus, stavo per scrivere Cardaioli, chiedo scusa ad entrambi, ma mi sembrano le identiche copie (positive) di epoche differenti).
Alla fine, fino a prova contraria, articoli alla mano sono stato il primo a scrivere che Pianigiani avrebbe dovuto essere il nuovo CT, ma con modalità diverse da quelle che poi si sono verificate, forse dettate da politiche di palazzo. Suggerivo un affido a Charlie Recalcati per il primo anno part-time, con piena libertà di scelte e di programmi. E poi la scelta del tempo pieno, qualsiasi fosse il risultato. Gli suggerivo, ricordo, di smarcarsi dal Pianigiani incardinato sugli schemi senesi, per quanto siano (come lo sono e saranno) vincenti, ma non replicabili in un panorama azzurro, a meno di ingaggiare anche il manager ah hoc, Ferdy Minucci – come ho scritto – più utile quando agisce direttamente che dietro le quinte.
Alla fine, vi confesso, sapete quando ho capito che Pianigiani non avrebbe invertito il trend? Quando ancor prima di leggere le sue scelte, ho intuito – ahinoi, ahinoi.. – che avrebbe guardato agli equilibri del gioco, dei ruoli, dettati dalla necessità di corrispondere ai desideri di un giocatore forte ma sempre atipico come Bargnani (più Belinelli). Scelta che ha giustificato la promozione a titolare di un suo giocatore di 33 anni, con 15 minuti di gioco e un ruolo tattico di 7-8° giocatore. E soprattutto di un play tascabile, d’ordine nel senso del gioco, la buona referenza del tiro da 3 (ma le cifre non hanno confermato affatto queste caratteristiche) con esperienza internazionale zero. E quando in quel ruolo altre squadre han messo dinamite pura (McCalebb, Cook, etc).
Alla fine un oriundo venuto dall’America ha fatto scartare un’opzione molto più utile per tappare il buco nei lunghi. Facciamo un nome: Mason Rocca. Nel play noi avevamo 3 giocatori migliori del titolare, e con peculiarità inconfondibili, ma uno è stato gettato in campo quale ultima spes con Israele ed è lì che la nazionale si è trasformata. Prima era infortunato d’accordo, ma vuoi mai che certi infortuni nascano da somatizzazioni di disagio che indeboliscono? Il secondo è stato usato per la sfilata pre-gara, mentre il terzo che vantava le migliori cifre e la durezza e l’utilità di un mediano all’italiana non è stato nemmeno provato.
Alla fine mi sembra che questo sia il segno di scelte studiate a tavolino, non dettate dal campo. Un neo CT è chiamato a lanciare dei messaggi più ampi di quelli nella realtà dalla quale proviene, deve saper comunicare con chi guarda la nazionale come una bandiera di sport, ma anche ai giocatori e ai ragazzini dei vivai. E credo dovesse essere più ccorto, portare il proprio sano realismo in un panorama più ampio, quello azzurro. Vedremo adesso se avrà la forza di correggersi o sarà bloccato dal timore di non poter più dire di no a chi l’ha voluto in quel ruolo. L’andare agli Europei 2011 è un dono dal quale, caro Simo, devi diffidare come da quel saggio inascoltato che non voleva il cavallo di Troia dentro le mura..
Alla fine, per riprendere il filo del discorso, il momento in cui ho capito che Pianigiani iniziava col piede sbagliato e stato quando un grande presidente di società mi ha mostrato sbigottito un articolo che declamava l’investitura con un assunto apodittico, con questa semplice conclusione: “Pianigiani? Semplicemente il migliore!”.
Alla fine, a proposito del migliore, senza offendere il ricordo di un certo Palmiro che così veniva presentato (dai suoi), ho una mia teoria, purtroppo non filosofica, ma spicciola e alla quale ogni tanto devo ricorre quando c’è gente che gabella la realtà, naturalmente avvalorata dai fatti.
Alla fine prendiamo Sergio Scariolo. Anch’egli era ritenuto il migliore per il presidente del Khimki Mosca, che con lui era sicuro di andare in finale dell’Eurolega e chiudere l’epopea del Cska. A parte la cifra dell’ingaggio, risibile per un ricco russo, penso non si fosse fatto scrupoli nel mettere alla porta il suo bravo allenatore un giovanotto lituano di nome Testutis Kemzura. “Semplicemente è il migliore”, deve aver dichiarato anch’egli ai giornalisti nel presentare il suo guru venuto dall’Occidente. Figuriamoci poi quando Sergio ha portato la Spagna agli Europei, non c’era migliore del migliore…
Alla fine però, dopo pochi mesi, a quel tal povero Kemzura viene messa in mano la nazionale lituana per i mondiali che perde solo una partita, e con onore e buon spettacolo, dal Dream Team. E batte la Spagna di Sergio Scariolo, aprendo delle crepe nelle certezze dei campioni del mondo, sconfitti anche dall’Argentina al 6° posto. Vinto il bronzo, l’allenatore viene sollevato in aria dai suoi giocatori, come fosse lui l’eroe vero di quel risultato. In effetti, la Lituania ha capitalizzato le sue scelte rinnovatrici, oltre alla qualità del gioco.
Alla fine, nel senso di tirare le somme, bisogna diffidare dai facili profeti e da chi vuole scrivere la storia senza averla fatta, diffidare da frasi da titolo, icastiche, proclami perché – tesi finale volgarizzata – “dietro i migliore c’è sempre un migliore che incalza”.
Così va la vita, cari amici vicini e lontani, per cui Pianigiani – del quale resto un ammiratore della prima ora (capirà che un “critico” onesto e migliore dei laudatores a cachet?) – resta il migliore, ma fino a prova contraria. E’ stato messo lì perché ne ha i titoli, ma adesso deve dimostrare di saper fare le scelte migliori, non di essere il migliore accompagnandosi dal buon uso dell’eloquenza e dal lukke, come si dice a Siena l’immagine ben curata che prevede anche la grisaglia d’obbligo. Un privilegio che Cardaioli non aveva.
SIENA. Alla fine fra tanta Europa i mondiali li hanno vinti gli americani, costruendo per la prima volta una squadra in “stile europeo”. Un forte quintetto, 2-3 specialisti in panchina e via andare, un mix di giovani e di vecchi: E non tutte star, vedi Chauchey Billups. Si tratta di un (forse) play 34 anni, non un crack e l’ha dimostrato nella finale, sbagliando 5 canestri su 5 coi turchi.
Alla fine, ma solo alla fine, la squadra americana (che stava per perdere col Brasile nelle qualificazioni), ha potuto fregiarsi del titolo di “Dream Team”, grazie a quell’immenso giocatore che si chiama Kevin Durant, il più giovane capocannoniere della NBA con i suoi 21 anni. Un tipo che fa basket musicale più che spettacolare, che farà sloggiare Kobe Bryant e LeBron James dai favoriti e considerato dai fans, non solo quelli della sua Oklahoma, indiscutibilmente il nuovo Michael Jordan.
Alla fine gli americani hanno riconquistato un titolo dopo aver fatto di tutto per… perdere nei precedenti 16 anni, ma dovevano assolutamente vincere questa medaglia, dopo l’oro di Pechino, perché assicura la partecipazione a Londra, traguardo finale per il trittico che vale in tutti i sensi oro in termini di contratti e prestigio, oltre che di gloria personale per “coach" Kryszewski. Uno che sulle nostre panchine, con la mentalità vincente (?) dei nostri dirigenti-parvenu, forse non finirebbe la stagione. Grande lezione di pragmatismo da parte dei padroni del basket: mai vincere troppo, programmare tutto, anche le sconfitte. Perché in campo ci vanno l’allenatore e i giocatori, non i manager.
Alla fine le squadre migliori sono quelle che hanno rinnovato. Perciò la squadra rivelazione è stata la Lituania, quella che ha rinnovato più delle altre. Ha pensionato da un giorno all’altro i gemelli Lavrinovic, Petravicius e Kaukenas (tre dei quali godranno i benefici della loro carriera nel Bel Paese), non ha dovuto pregare in ginocchio la sua star Jasikevicius.
Alla fine chi ha acquistato la wild card ha fatto buoni affari, l’importante è esserci, e addirittura la rivelazione del primo mondiale con questa novità è stata, guarda caso, sempre la Lituania, ma è piaciuta anche la Russia.
Alla fine nessuno ha rimpianto l’assenza dell’Italia. L’importante nella vita è esserci, magari farsi poi trovare puntuale al momento delle occasioni. Il non voler esserci è senso di rifiuto della sfida, poca creatività. Come ho scritto a suo tempo, ripeto perciò, che è stato un errore non acquistare una wild card alla modica cifra di 600 mila euro, quando potevamo mettere in campo due nazionali. Ce l’ha dimostrato proprio Simone Pianigiani, che ha aperto lo “spettro” dei probabili azzurri a 24 nomi, per cui bastavano i 12 lasciati a casa per fare meglio dell’Angola o della Cina, arrivate agli ottavi.
Alla fine, l’ipotesi di giocare contro il Dream Team, ad esempio, avrebbe potuto spingere anche Danilo Gallinari ad essere della partita. Occasione mancata, soprattutto per un movimento, e soprattutto per la Federbasket che ha avviato una politica di marketing, che però ha scelto le pay Tv perché non riesce ad andare in quelle commerciali né in quella di Stato, dove si ragiona per indici di ascolto, al di là di quel milione di spettatori (stima della Federazione) per la telecronaca Rai di Israele-Italia. Sempre un terzo di quel 3,4 milioni di spettatori che nel ’91 assicurò la nazionale azzurra agli Europei di Roma.
Alla è stato un anno-no a livello internazionale per i nostri allenatori, fino a ieri la crema del basket italiano; i mondiali portano allo sconto alcune realtà documentali. Tanto di cappello a Bogdan Tanjevic, azzurro d’adozione ma cittadino del mondo, che ci ha regalato l’oro europeo del ’99 e torna a Roma, dopo l’eroica prima medaglia del basket turco.
Alla fine (della fiera) Sergio Scariolo reduce dal flop con Khimki con la Spagna ha perso ben 4 partite, troppe, scontato quindi che le “furie rosse” lasciassero in Turchia il titolo mondiale (conquistato da altri) con i brontolii di Juan Carlos Navarro per la cattiva difesa. Da parte sua Ettore Messina nel suo primo anno da prima star al Real Madrid ha perso la Liga e il resto, e non è riuscito a qualificarsi per le Final Four come faceva puntualmente col Cska.
Alla fine è sotto la sufficienza, se parametrata col 93 per cento di successi mensanini, anche la campagna internazionale di Simone Pianigiani. Non è riuscito a portare la sua (e qui metto l’accento sul pronome…) prima nazionale agli Europei, salvato dall’intervenire Dino Meneghin, ancora una volta decisivo per i destini del basket italiano. Idem con patate per l’Eurolega, con una sola Final Four negli anni dei 4 scudetti (e tutto il resto).
Alla fine spero che Simone Pianigiani prenda atto della lezione del campo, sperando che leggere certe riflessioni libere (e dissonanti) non pensi a Cassandra ma le ritenga utili. Stimo moltissimo Pianigiani (lapsus, stavo per scrivere Cardaioli, chiedo scusa ad entrambi, ma mi sembrano le identiche copie (positive) di epoche differenti).
Alla fine, fino a prova contraria, articoli alla mano sono stato il primo a scrivere che Pianigiani avrebbe dovuto essere il nuovo CT, ma con modalità diverse da quelle che poi si sono verificate, forse dettate da politiche di palazzo. Suggerivo un affido a Charlie Recalcati per il primo anno part-time, con piena libertà di scelte e di programmi. E poi la scelta del tempo pieno, qualsiasi fosse il risultato. Gli suggerivo, ricordo, di smarcarsi dal Pianigiani incardinato sugli schemi senesi, per quanto siano (come lo sono e saranno) vincenti, ma non replicabili in un panorama azzurro, a meno di ingaggiare anche il manager ah hoc, Ferdy Minucci – come ho scritto – più utile quando agisce direttamente che dietro le quinte.
Alla fine, vi confesso, sapete quando ho capito che Pianigiani non avrebbe invertito il trend? Quando ancor prima di leggere le sue scelte, ho intuito – ahinoi, ahinoi.. – che avrebbe guardato agli equilibri del gioco, dei ruoli, dettati dalla necessità di corrispondere ai desideri di un giocatore forte ma sempre atipico come Bargnani (più Belinelli). Scelta che ha giustificato la promozione a titolare di un suo giocatore di 33 anni, con 15 minuti di gioco e un ruolo tattico di 7-8° giocatore. E soprattutto di un play tascabile, d’ordine nel senso del gioco, la buona referenza del tiro da 3 (ma le cifre non hanno confermato affatto queste caratteristiche) con esperienza internazionale zero. E quando in quel ruolo altre squadre han messo dinamite pura (McCalebb, Cook, etc).
Alla fine un oriundo venuto dall’America ha fatto scartare un’opzione molto più utile per tappare il buco nei lunghi. Facciamo un nome: Mason Rocca. Nel play noi avevamo 3 giocatori migliori del titolare, e con peculiarità inconfondibili, ma uno è stato gettato in campo quale ultima spes con Israele ed è lì che la nazionale si è trasformata. Prima era infortunato d’accordo, ma vuoi mai che certi infortuni nascano da somatizzazioni di disagio che indeboliscono? Il secondo è stato usato per la sfilata pre-gara, mentre il terzo che vantava le migliori cifre e la durezza e l’utilità di un mediano all’italiana non è stato nemmeno provato.
Alla fine mi sembra che questo sia il segno di scelte studiate a tavolino, non dettate dal campo. Un neo CT è chiamato a lanciare dei messaggi più ampi di quelli nella realtà dalla quale proviene, deve saper comunicare con chi guarda la nazionale come una bandiera di sport, ma anche ai giocatori e ai ragazzini dei vivai. E credo dovesse essere più ccorto, portare il proprio sano realismo in un panorama più ampio, quello azzurro. Vedremo adesso se avrà la forza di correggersi o sarà bloccato dal timore di non poter più dire di no a chi l’ha voluto in quel ruolo. L’andare agli Europei 2011 è un dono dal quale, caro Simo, devi diffidare come da quel saggio inascoltato che non voleva il cavallo di Troia dentro le mura..
Alla fine, per riprendere il filo del discorso, il momento in cui ho capito che Pianigiani iniziava col piede sbagliato e stato quando un grande presidente di società mi ha mostrato sbigottito un articolo che declamava l’investitura con un assunto apodittico, con questa semplice conclusione: “Pianigiani? Semplicemente il migliore!”.
Alla fine, a proposito del migliore, senza offendere il ricordo di un certo Palmiro che così veniva presentato (dai suoi), ho una mia teoria, purtroppo non filosofica, ma spicciola e alla quale ogni tanto devo ricorre quando c’è gente che gabella la realtà, naturalmente avvalorata dai fatti.
Alla fine prendiamo Sergio Scariolo. Anch’egli era ritenuto il migliore per il presidente del Khimki Mosca, che con lui era sicuro di andare in finale dell’Eurolega e chiudere l’epopea del Cska. A parte la cifra dell’ingaggio, risibile per un ricco russo, penso non si fosse fatto scrupoli nel mettere alla porta il suo bravo allenatore un giovanotto lituano di nome Testutis Kemzura. “Semplicemente è il migliore”, deve aver dichiarato anch’egli ai giornalisti nel presentare il suo guru venuto dall’Occidente. Figuriamoci poi quando Sergio ha portato la Spagna agli Europei, non c’era migliore del migliore…
Alla fine però, dopo pochi mesi, a quel tal povero Kemzura viene messa in mano la nazionale lituana per i mondiali che perde solo una partita, e con onore e buon spettacolo, dal Dream Team. E batte la Spagna di Sergio Scariolo, aprendo delle crepe nelle certezze dei campioni del mondo, sconfitti anche dall’Argentina al 6° posto. Vinto il bronzo, l’allenatore viene sollevato in aria dai suoi giocatori, come fosse lui l’eroe vero di quel risultato. In effetti, la Lituania ha capitalizzato le sue scelte rinnovatrici, oltre alla qualità del gioco.
Alla fine, nel senso di tirare le somme, bisogna diffidare dai facili profeti e da chi vuole scrivere la storia senza averla fatta, diffidare da frasi da titolo, icastiche, proclami perché – tesi finale volgarizzata – “dietro i migliore c’è sempre un migliore che incalza”.
Così va la vita, cari amici vicini e lontani, per cui Pianigiani – del quale resto un ammiratore della prima ora (capirà che un “critico” onesto e migliore dei laudatores a cachet?) – resta il migliore, ma fino a prova contraria. E’ stato messo lì perché ne ha i titoli, ma adesso deve dimostrare di saper fare le scelte migliori, non di essere il migliore accompagnandosi dal buon uso dell’eloquenza e dal lukke, come si dice a Siena l’immagine ben curata che prevede anche la grisaglia d’obbligo. Un privilegio che Cardaioli non aveva.