In risposta alla consigliera Raponi (FdI)
SIENA. Il 25 Novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel Dicembre del 1999. Mano a mano che si avvicina questa data è tutto un fiorire di iniziative e dichiarazioni la maggior parte delle quali suonano non solo banalmente commemorative, ma anche prive di qualunque fondamento od efficacia, soprattutto se dettate da ignoranza e superficialità, mentre il tema necessita di grande onestà intellettuale, di una lettura complessa e in particolare di un chiaro sguardo politico.
Fioriture di questo calibro sono naturalmente apparse anche sulla stampa locale e se abbiamo ritenuto opportuno evitare qualunque risposta in merito alla proposta della Lega di distribuire spray al peperoncino alle donne in cambio della loro iscrizione, non possiamo rimanere in silenzio di fronte alla più articolata presa di posizione della neo consigliera comunale avvocata Maria Concetta Raponi (Fratelli d’Italia).
Raponi esordisce con considerazioni che ci trovano perfettamente d’accordo laddove afferma che “la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di potere ineguali tra uomini e donne che storicamente ha portato a discriminazione tra i due sessi, è eredità di antiche mentalità e retaggi che considerano le donne “inferiori”, ma anche la manifestazione dell’incapacità maschile di accettare la capacità di autodeterminazione in libertà ed autonomia delle donne”.
Ottimo incipit dunque, se non che, continuando la lettura, tutto si fa più contraddittorio e confuso. Senza attardarci a riportare altri passaggi del lungo intervento della consigliera, vorremmo richiamare l’attenzione di Raponi sulla Convenzione di Istanbul : oppressione e ineguaglianza di genere a cui anche lei fa inizialmente riferimento, non sono sporadici o eccezionali, ma strutturali a tal punto che la Comunità internazionale ha sentito il bisogno di darsi dei principi condivisi e di organizzarli dentro regole legislative a cui tutti gli stati che le accettano devono attenersi (tra questi c’è anche l’italia, L. 77/2013). Questo, nell’ennesimo, encomiabile tentativo di arginare un fenomeno che, se rappresentato numericamente, spaventa per le misure che assume: sono circa 7 milioni le donne dai 16 ai 60 che nell’arco della loro vita hanno subito una qualche forma di violenza (Italia, dato Istat), mentre i costi economici diretti ed indiretti sono stati valutati in 17 miliardi di euro all’anno (idem c.s.).
Tutto ciò ci racconta di un dominio politico e culturale che ha segnato il rapporto millenario di potere tra i sessi, di cui le molestie sessuali, i ricatti sul posto di lavoro, l’asimmetria nelle carriere, sono solo dei tasselli, ma sono anche il boccone amaro che come donne dobbiamo ingoiare quotidianamente in virtù di quella inferiorità a cui anche lei fa riferimento e che disegna intorno a noi una prigione di piccoli e grandi atti discriminatori.
Consigliera Raponi, Le pare che gli uomini vivano le stesse condizioni? C’è un uomo anche solo tra i suoi conoscenti che ha sperimentato la paura e di conseguenza, il limite di uscire da solo la sera? Ne conosce anche solo uno obbligato a firmare dimissioni in bianco nel caso di matrimonio o di nascita di figli? Quanti sono stati costretti a rinunciare alla loro carriera e quindi alla loro indipendenza economica, avviandosi verso un destino di povertà? O le sembra la stessa cosa che lamentano (giustamente) i padri separati, dimenticandosi però che il 50,7% delle donne italiane non lavora fuori casa, occupandosi esclusivamente della famiglia; il 40% delle donne che si dimettono dal lavoro fuori casa lo fa dopo la nascita dei figli; il 75% dei padri separati non è in regola con il pagamento degli alimenti; il 24% delle donne separate e divorziate è a rischio povertà, contro il 15,3% degli uomini nelle stesse condizioni; dopo la separazione, a veder peggiorare la propria condizione economica sono soprattutto le donne (il 50,9% contro il 40,1%).
E potremmo continuare in una triste litania che non fa che confermare quella disparità a cui lei fa riferimento all’inizio, tranne perdersi poco dopo in frettolose e superficiali considerazioni sulla parità tra uomini e donne oggetto di violenze.
Noi pensiamo invece che le donne abbiano sopportato fin troppo a lungo la loro sottomissione e che per superare tutto ciò non basti la denuncia della violenza, ma una pratica politica collettiva che si interroghi sulle ragioni profonde che hanno prodotto tale condizione. Noi abbiamo scelto da tempo questa strada che mettiamo in atto oltre gli spazi celebrativi, spesso nell’assordante silenzio o nell’indifferenza di Istituzioni che si contentano di frettolose e contraddittorie dichiarazioni.
NONUNADIMENOSIENA