PIENZA. Con un’ampia retrospettiva, Pienza restituisce a Romea Ravazzi, per i pientini “Zia Remy”, l’affetto, l’attaccamento e la grande generosità che la pittrice, vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento, ha mostrato in vita per la città natale e i suoi abitanti.
Alla mostra, che sarà inaugurata sabato (26 settembre) alle ore 16.30 nella Sala convegni comunale, hanno lavorato per quasi due anni il Comune di Pienza e la Fondazione Conservatorio San Carlo Borromeo. Aperta fino domenica 1 novembre presso la Fabbriceria della Chiesa Cattedrale, in Piazza Pio II, la retrospettiva raccoglie oltre settanta opere originali di “Zia Remy” (1870-1942), cui si aggiungono una trentina di opere a cura delle allieve. Custodite da generazioni nelle abitazioni private dei pientini, cui la pittrice aveva donato i propri quadri con grande generosità, la città di Pienza dà vita al primo vero riconoscimento dell’opera di Romea Ravazzi, se si esclude la piccola retrospettiva del 1955 e una antologica del 1971, a cura dell’amministrazione comunale e del pittore Aleardo Paolucci. “Personalità eclettica per i suoi tempi, donna fuori dagli schemi – come ricorda lo storico Aldo Lo Presti – Romea Ravazzi fu non solo pittrice, allieva tra il 1888 ed il 1891 della scuola femminile di disegno di Amos Cassioli a Firenze, ma anche appassionata musicista, suonando il pianoforte e l’amatissimo violino con esiti più che apprezzabili”. “Romea Ravazzi – aggiunge Umberto Bindi, vicepresidente della Fondazione Conservatorio San Carlo Borromeo – attraverso il suo sincero attaccamento al paesaggio, agli animali, alle persone, ha contribuito a insegnare ai pientini a guardare e amare il loro territorio. Dopo il ricordo affettuoso, con questa mostra la città le rende omaggio come merita, attraverso una retrospettiva pressoché completa delle sue opere”. La mostra sarà aperta tutti i giorni, dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 16 alle ore 19 ad ingresso libero. Per informazioni è possibile contattare l’Ufficio turistico di Pienza al numero 0578 749905. Accompagna la retrospettiva un prezioso catalogo, curato dagli storici dell’arte Gianni Mazzoni e Pietro Torriti e dallo storico Aldo Lo Presti.
Alcune note bibliografiche della pittrice.
Romea Ravazzi, il cui esordio artistico sembrerebbe risalire all’edizione 1892-93 dell’Esposizione della Società di Belle Arti di Firenze, nel 1900 riuscì a presentare i suoi dipinti alla quarta Esposizione triennale della Regia Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e all’Esposizione concorso “Vittorio Alinari” organizzata dalla Società Italiana per l’Arte Pubblica. Dopo altre due edizioni delle Esposizioni fiorentine, la pittrice di Pienza svolgerà principalmente l’attività di copista a Firenze, città nella quale si era trasferita giovanissima a seguito del padre. Per tutta la vita sarà ben saldo anche il legame con Orvieto, città natale della madre, dove parteciperà, nel 1923, alla prima Esposizione del Collegio delle Arti di Orvieto. Fu in quegli anni che Romea Ravazzi avvertì la necessità di far ritorno a Pienza, dove condusse una vita modesta con grande dignità e altruismo. In un primo tempo alloggiò nella sua casa natale, nel frattempo trasformata nell’Albergo Letizia, per poi sistemarsi, per circa un anno, presso il podere Porciano, in casa della famiglia del colono Adamo Grappi che rappresentò, fino all’ultimo istante della sua vita, un insostituibile e disinteressato punto di riferimento. “Soltanto nel podere Beccacervello – ricostruisce Lo Presti nell’introduzione al catalogo della mostra, edito da Protagon – “Zia Remy” si sentì veramente a casa. E’ lì che riuscì a esprimere meglio il suo amore per la natura e il prossimo, testimoniato, tra i tanti gesti, dall’istituzione di un’ammirevole e commovente Bibliotechina, alimentata costantemente da libri di sua proprietà, riservata ai ragazzi di Pienza e intitolata a Celido Cappelli, un bambino a cui si era particolarmente affezionata, gravemente ammalato di tisi. A Pienza Romea Ravazzi trovò la serenità e la concentrazione per dipingere, con la consueta maestria, i suoi caratteristici paesaggi, realizzati con un uso del colore a macchia agile e accorto; simpatici quadri di genere; pitture murali, nonché fedelissimi ritratti in cui si ritrovano gli stessi fondi “variegati dalla luce e condotti a colpi di pennello divisi” del maestro ascianese Amos Cassioli”.