di Gianni Basi
Franci Festival – martedi 13 ottobre ore 21, Auditorium Franci –
SIENA. Il “solo piano” che alle 21 di domani (13 ottobre), riempirà la serata concertistica del Festival Franci nell’alveo sonoro del suo Auditorium di Prato Sant’Agostino, vedrà all’opera un ragazzo, o poco più, innamorato di quanto è bella la musica.
Allievo sin da piccolo dell’Istituto, il diciannovenne Massimiliano Iezzi sta facendo passi da gigante sotto la guida del maestro Hector Moreno, uno fra i più autorevoli insegnanti del Franci. Non può che amarla, e tanto, la musica, chi ormai di frequente si presenta in scena sapendo dominare una tastiera che pulsa di note scritte dai grandi, gente che martedì si chiamerà Beethoven, Chopin, Berg, Rachmaninof e Liszt. Un quintetto che attraverserà in un baleno due secoli di gemme esecutive, frammentandole in coni di luce puntati a turno su romantico e tardo romantico, e con un occhio anche alle prime avanguardie.
Iezzi aprirà con un tema, scandito a tre rintocchi, che si adagerà su un plafond di accordi lentamente ripetuti in scivolo. Rintocchi che sarà piacevole sentirli spandere nella quiete assoluta, esaltare il fascino della purezza musicale nuda e cruda, fare di un tessuto di poche note la pienezza appagante che solo un “piano solo” sa produrre e trasmettere. E’ un brano così avvincente e facile da riconoscere da trattenerci a darne il titolo. Lo scoprirete nel mentre la sua melodia sarà irrefrenabilmente incline a indurre ad un ticchettio delle dita in accompagnamento (capita solo quando una musica ci prende, no?). Lo sveleremo comunque alla fine, facendolo per ora soltanto immaginare e dando solo un indizio che chiameremo “illuminante”, e un nome: Beethoven.
Subito dopo, al secondo brano in serata, sarà l’avvio di uno stacco imperioso sulla tastiera a risvegliarci dal sogno. E si verrà trascinati nel clima della Ballata n.4 in fa minore di Chopin e nella sua aria insolitamente veloce, in sintonia tra fantasia e lirismo, destrezza e tecnica perfetta.
Quindi, il momento di Alban Berg e della sua calma ricercata, sofferta, nella Sonata n.1 in si minore. E qui siamo in un pathos che si muove e scandaglia note fuggenti, le acchiappa negli anfratti dove vanno a nascondersi, quel “mare aperto dove chi può deve provare a navigare” descritto da Uri Caine all’atto di presentare in questi giorni a Firenze uno stock di musiche, assai consorelle dei temi detti, scritte da Luciano Berio. Non sorprenda, ma di queste “vie di fuga” alla Schöenberg, che tendono tanto alla ricerca che ad una sorta di “liberazione ad ostacoli” dell’animo, ne parlava, di recente, e bontà sua a suo modo, Paul Stanley dei “Kiss”. La musica ha forse confini? – si chiedeva il leader di uno dei gruppi più eversivi del multiforme panorama contemporaneo.
E lo stesso Rachmaninof, che seguirà in concerto, si fece forse problemi nello stendere il tema del suo Preludio op.32 n.10 cullandosi all’inizio in arpeggi solari per, poi inventarsi un improvviso incedere quando dolcissimo e quando un po’ folle? Ne avremo appunto prova in questo terzo brano, e continueremo pertanto a scoprire che la musica è lo stupore di uscire da un’ispirazione per entrare in un’altra, e poi riuscirne per emozionarsi in un’invenzione successiva, quella che sia e che ad ognuno (autore, esecutore, ascoltatore) può far vivere qualcosa di speciale. Così, per esempio, nacquero i lunghi spartiti operistici, determinando da un insieme di suoni il frutto di una prodigiosa, seducente bellezza.
Ma, prima delle pagine laboriose appena dette, Massimiliano Iezzi affronterà, ancora di Rachmaninof, i suoni meditativi e cullanti dell’Elegia op.3 n.1 e, in chiusura di questi trittico, le alternanze di impennate frenetiche e di carezze soffuse che riempiono i sontuosi Estudes-Tableaux op.39 n.6.
Con Listz, infine, il concerto entrerà in un brano particolare tratto dal poema sinfonico “Mazeppa”, datato 1852. Benchè aria popolare, cui più autori si ispirarono attingendo alle gesta intrise di amori e dolori del cavaliere russo Ivan Stepanovic Mazeppa descritte in poesia da Victor Hugo, la sua esecuzione non è che sia delle più facili. Si sviluppa in giochi di passaggi repentini dal re minore al si bemolle maggiore e qua e là dà il senso di un poderoso “oh oh cavallo” lanciato nella steppa, esaltando così tanto l’ascolto da quasi celare le notevoli difficoltà ritmiche d’esecuzione.
Una prova in scioltezza di dita per il bravo Iezzi. Da lupetto vispo della Sila (nasce a Cosenza), Massimiliano in piena adolescenza viene a Siena per perfezionarsi al Franci. Dopo sette anni di lezioni con Hector Moreno, vince nel marzo scorso la borsa di studio “Vittorio Baglioni” decretando ancora una volta la felice scoperta di talenti da parte dell’Istituto. Ma, a questo proposito, è opportuno ricordate che il Franci, fra le tante iniziative, ripropone anche quest’anno il “Corso base di guida all’ascolto del classico”, punto di partenza fondamentale per chi del classico, voglia suonarlo o meno, desideri conoscere vita e miracoli e avere rivelati i segreti di un’arte che è l’unica, proprio l’unica, a possedere il miglior filo diretto fra l’orecchio e l’animo. Tenuto da Norberto Cappelli, il corso è aperto a quanti tendano perciò ad accostarsi scientemente alla musica, e, come dicevamo all’inizio per il giovane Iezzi, a patto che la amino. Chi vuole iscriversi deve però farlo al più presto, così da garantire al Franci un numero sufficiente di partecipanti. Per ulteriori informazioni basta telefonare allo 0577-288904 (e-mail: franci@franci.comune.siena.it).
Altro piccolo consiglio made in Franci, rivolto a quanti piace Brahms e in particolare le sue Danze Ungheresi: non fatevene mancare l’incisione fatta da Norberto Cappelli e Hector Moreno. Un pianoforte in duetto deliziosamente incantevole e incalzante.
Ah, è vero, resta ora da rivelare il titolo del brano di Beethoven col quale, e nel modo più celestiale, ci si accosterà al percorso concertistico di Massimiliano Iezzi. Si tratta del celeberrimo “Chiaro di luna”, ovvero la Sonata n.14 in do diesis minore op.27 n.2. Un chiarore indispensabile, cantato da poeti e menestrelli facendo sempre innamorare, e regalato in nome alle squaw, le tante “raggio di luna”. A Beethoven, di questi tempi molto arrabbiato, quei rintocchi sanno di tirassegno. Penserà “io per chiari di luna ne intendevo ben altri, non la sciocchezza di bocche da fuoco dritte al cuore di quella bianca meraviglia lassù”. Io dico che lo penserà.