L'ex consigliere comunale del Movimento 5 Stelle parla di politica nazionale e locale
di Mauro Aurigi
SIENA. Intanto cominciamo col dire che il confronto, per essere democratico, dovrebbe svilupparsi per conquistare il Parlamento, ossia l’organo legislativo, quello che fa le leggi e che è elettivo, non per conquistare il Governo, organo esecutivo che esegue le leggi votate dal Parlamento, e che non è elettivo, ma composto da nominati approvati in seconda battuta dal Parlamento. Ma tant’è, ormai siamo abituati a considerare il Governo come quello che fa le leggi (caratteristica tipica di tutte le dittature), e il Parlamento, organo inutile, come quello che poi le ratifica.
Comunque sia, rimane un dato di fatto: il Governo, sia quello nazionale che quello locale, volente o nolente è sempre lo specchio del popolo (e quindi noi Italiani ci meritiamo tutti i governi che abbiamo avuto). Per cui ogni governo, anche quello potenzialmente il più autoritario e sanguinario e anche quello potenzialmente più evoluto e illuminato, deve necessariamente restare entro i limiti consentiti dal livello politico-culturale medio dei governati.
PIU’ DI 50 GOVERNI IN 70 ANNI NON CI HANNO INSEGNATO NIENTE
Tanto per chiarire per sommi capi e con esempi estremi: un governo onesto e corretto su una comunità mafiosa, se non si adegua, può durare non più di una o poche settimane, così come, all’opposto, un governo mafioso su una comunità onesta e evoluta. Ci possono essere tutte le sfumature che si vuole (niente è sempre tutto bianco o tutto nero) ma questa è la realtà di fondo.
Sembrano, queste, riflessioni banali, per cui non si capisce il bailamme mediatico che si è fatto intorno alla formazione dell’attuale governo: alla fine M5S e Lega Nord, checché scrivano nei loro programmi, potranno obbligatoriamente operare nei limiti concessi dalla corrente morale pubblica del popolo italiano. Questo è quello che ci insegnerebbe non solo l’intelligenza, ossia la capacità di interpretare i fenomeni, ma l’esperienza, visto che nei settant’anni di regime repubblicano di esperienza ne abbiamo cumulata quanto nessun altro popolo al mondo: più di una cinquantina di governi, quasi uno all’anno, ma senza scossoni. Nessuno che mai abbia potuto esagerare, né troppo in alto né troppo in basso (vedasi, per esempio, la bocciatura popolare della revisione costituzionale in senso autoritario della nota riforma Renzi). Insomma avremmo dovuto farci il callo. Invece è chiaro che il concetto espresso in testa a questo scritto, banale quanto si voglia, non è però di pubblico dominio neanche tra consumati politologi, per cui il governo appare sempre e in assoluto l’istituzione di gran lunga la più importante e appetibile. Cosa che in sostanza denuncia un pesante decadimento dell’ordinamento democratico, una silente, dannosissima virata da tutti accettata verso la dittatura.
A HARVARD SAPEVANO GIA’ TUTTO
Chi scrive prese coscienza di ciò, ancorché in maniera epidermica e quasi inconsapevolmente, una ventina di anni fa quando Fabio Ceccherini, appena eletto presidente della provincia di Siena con la solita maggioranza schiacciante della sinistra, se ne uscì sulla stampa con questa dichiarazione (letterale): “Ci votano perché governiamo bene”. Risposi al giornale da Taranto (non ricordo se la mia lettera fu pubblicata) in questi termini: “Che cavolo vuol dire che li votano perché governano bene? Allora a Taranto governano male perché qui non li votano?”. E aggiunsi: “Io, i bravi governanti senesi, li manderei a governare Bagheria in Sicilia. Avrebbero 30 giorni di tempo per adeguarsi alla situazione o finire in una pozza di sangue. Facile governare bene i Senesi, ma il merito è tutto loro, mica del Pci”.
Poi, qualche anno dopo, fu l’incontro con il prof. Robert Putnam dell’università Harvard – teneva a Firenze una conferenza – a farmi prendere piena consapevolezza di quanto allora avevo solo superficialmente sfiorato. Di Putnam avevo letto un lavoro che spiegava in maniera incontrovertibile come l’esperienza comunale nel Medioevo, che si sviluppò soprattutto nell’Italia centro-settentrionale (ma anche in Svizzera, Midi francese e Catalogna), fosse responsabile del solco profondo che ancora oggi segna la differenza tra l’Italia del Nord e quella del Sud (un Sud che invece da millenni e fino al XIII secolo d.C. aveva sempre e largamente superato il Nord). Il tutto era da ricondursi soprattutto alla partecipazione dei semplici cittadini alla gestione del libero Comune nel centro-nord – cosa sempre negata nel Meridione – partecipazione che aveva fatto crescere il senso civico dei buoni borghesi fino a riuscire a escludere da quella gestione la nobiltà e la monarchia che da sempre ne avevano avuto il monopolio. Al Sud, invece, il persistere del sistema monarchico e feudale aveva favorito la crescita fino ai giorni nostri, non del senso civico, ma del familismo e del clientelismo (da qui le mafie). Ecco spiegate, concludeva il Putnam, le ragioni delle differenze che ancora oggi contraddistinguono il nord e il sud Italia.
E’ BOLOGNA (E ANCHE SIENA) CHE HA RESO CIVILE IL PCI
Colsi così l’occasione di quell’incontro per ringraziare a voce il professore perché a scuola ci avevano insegnato che quella separazione tra le due aree del Paese era stata provocata dal fatto che il nord aveva goduto tra Settecento e Ottocento del governo illuminato degli Austriaci (Maria Teresa d’Austria e i Lorena, con tanti saluti al formale e bigotto patriottismo italico), mentre al sud dominavano i Papi e i Borboni. Putnam lasciò che finissi il mio discorsino e poi mi fece, in perfetto italiano: “Non ci voleva tanto a capirlo. Bologna dal 1508 e fino al 1860 fece parte dello Stato della Chiesa, dunque sotto il Papa. Ciononostante, grazie solo al suo illustre passato universitario, comunale e repubblicano, per noi Americani Bologna è il punto più chiaro di tutta l’odierna politica italiana”. Ebbi l’impudicizia di esclamare: “Ma come? In piena guerra fredda lei mi dice che per gli Americani la più comunista delle città italiane è anche quella meglio amministrata?”. Mi guardò come si guarda teneramente un figlio un po’ scemo e replicò: “Non penserà mica che sia stato il Pci a rendere civile Bologna, eh! E’ Bologna che ha reso civile il Pci”. E subito fu come se la mente mi si allargasse all’improvviso.
AGNELLI: SOLO LA SINISTRA PUO’ FARE RIFORME DI DESTRA
Ora sono convinto che se la Appendino del M5S avesse vinto a Roma e la Raggi, sempre del M5S, avesse vinto a Torino, oggi lo scherno e il sarcasmo mediatici avrebbero l’Appendino come bersaglio, mentre la Raggi sarebbe stata glorificata. Facile governare i Torinesi! Ma governare i Romani? Oggi so perché della cinquantina e passa di governi dal dopoguerra ad oggi, nessuno ha fatto storia per particolari meriti, semmai per diversi demeriti. E questo perché l’azione di quei governi, nel bene o nel male, non poteva che essere misurata sul non eccellente livello medio di civismo e di cultura della popolazione. Ma basta pensare agli ultimi 25 anni, quelli della cosiddetta Seconda Repubblica. Vi si sono avvicendati una decina di governi di ogni colore, anzi di ogni grigiore: tecnici e politici, di destra, di sinistra e di centro. Si pensi solo al fatto che in quel periodo hanno governato, alternandosi personaggi come Berlusconi, Prodi, D’Alema, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Nonostante i grandi e contrastanti sbandieramenti ideologici, c’è almeno uno di quei governi che sarà ricordato per qualcosa di eccezionalmente positivo o negativo? No! Governi diversissimi, ma calma piatta, senza sorprese, senza distinzioni: stessa ipocrisia, stessa corruzione, stessi scandali, proprio come nella Prima Repubblica. E niente spiega meglio questa verità dell’icastica frase dell’allora patron della Fiat, Gianni Agnelli: “Le riforme di destra le può fare solo un governo di sinistra”.
E il nuovo governo partorito tra M5S e Lega Nord, nonostante il “nuovo” che crede di rappresentare, non farà eccezione.
MA LA SITUAZIONE NON PUO’ CHE PEGGIORARE
Ma guardiamo in prospettiva. C’è il fenomeno, pesante anche a Siena, dell’emigrazione di centinaia di migliaia dei nostri migliori giovani – laureati a spese del contribuente italiano – che vanno a impinguare le già pingui realtà del nord del mondo. Ossia c’è la rarefazione della fascia culturalmente alta della nostra popolazione. All’opposto c’è il rafforzamento della fascia di gran lunga culturalmente più bassa provocata dall’immigrazione dal Terzo mondo (checché ne dicano o pensino Salvini e Di Maio o chiunque altro, ne avremo bisogno per contrastare i fenomeni tutti italiani della denatalità e della fuga dei giovani). Quel livello culturale medio della popolazione non potrà quindi che peggiorare, e con esso non potrà che peggiorare anche la qualità o, meglio, il rendimento dei futuri governi.
E visto che siamo già il fanalino di coda dell’UE, ciò vuol dire che stiamo navigando verso la costa sud del Mediterraneo.
Intanto Siena, vissuta gloriosamente per oltre 1000 anni sul confine del Meridione, in questi ultimi decenni vi è franata dentro: da città più meridionale del nord a città più settentrionale del sud).
(segue)