di Gianni Basi
SIENA …Diciamo che la neve di venerdi scorso ci ha messo lo zampino sul concerto del Trio Michelangelo String, facendolo diventare un “solum” con la pur sublime viola di Nabuko Imai. Sono gli incerti del sempre possibile imprevisto, e di un tempo dispettoso. Ma speriamo che presto il “Michelangelo” torni a Siena, magari per intero.
Per questo venerdi (19 febbraio), in quanto a tipo di musica si volta decisamente pagina. Dalle danze Dervishi alle marionette di Carlo Colla ed alle canzoni folk di Noa, questo grande caleidoscopio sul mondo delle note che è l’Accademia Chigiana aveva pertanto più volte proposto qualcosa che emulasse da un contesto prettamente classico, attenta però a serbarne sempre e comunque un certo filo di attinenza. Un legame sottile, una spiritualità di fondo, e soprattutto una solare gradevolezza non solo all’ascolto ma anche in funzione dell’apparato scenico. Se infatti assistere ad un concerto è ammirare “come si suona” e davanti all’opera è godere di un insieme di voci, costumi e ambientazioni nel supporto di un gigantesco mantice orchestrale in movimento, il seguire ora sul palco sei buontemponi che, ammiccando, cantano canzonette trascinanti (ma recitate con rigorosa preparazione e professionalità), ebbene, qui è andare oltre l’ammirazione e il godimento e siamo allo spasso puro. Col classico, si badi, che sta a un tiro di schioppo. Pensate a Rossini, Pergolesi, Mozart, gli Strauss, lo stesso Puccini. Ci hanno in realtà regalato pagine di grande cabaret allorché hanno trasformato le loro musiche e vicende in opera buffa o quand’anche in operetta.
I Berlin Comedian Harmonists, in scena alle ore 21 al Teatro dei Rozzi nella imperdibile serata destinata da Micat in Vertice ai lazzi e sberleffi del Carnevale, sono la derivazione naturale di una musica scanzonata che faceva da contrasto alle seriose sonorità epocali del primo ‘900: quelle in mutazione di pelle, la pelle del classico per eccellenza, che andava sì proponendo soggetti nuovi ma di difficile interpretazione popolare. Una infinità di piccoli gruppi, che non ci stavano ai bruschi cambiamenti, imperversavano amatissimi dal pubblico nei music-hall e nelle caffetterie liberty europee, particolarmente quelle di tradizione viennese.
L’anima tedesca, visceralmente festaiola e birraiola, smaltiva così gli orrori di una guerra appena finita e inneggiava alla sbornia della vita e mai immaginando che, quella così bella “époque”, sfociasse invece presto in un altro conflitto ben più terribile. Fu nel 1927 che tre tedeschi e tre ebrei berlinesi decisero di formare i “Comedian Harmonists”, col nome che diceva esattamente che avrebbero buttato tutto ma proprio tutto in commedia.
Il gruppo comprendeva cinque vocalists e un pianista su cui tradizionalmente anche sparare in stile vecchio saloon dato che, quei sei scatenati berlinesi, si rifacevano ad un sestetto americano bizzarro e stralunato, i cosiddetti Revelers”. A loro immagine e somiglianza, i “Comedian” prima maniera si misero a cantare con spiccato stile e umorismo mitteleuropeo le più famose ariette popolari del tempo, ed anche brillanti pezzi classici che rovistarono a piacimento rendendo la musica esilarante e mandando in visibilio tutte le platee. Il regime però cominciava a non vedere di buon occhio il semitismo, e fu così che i sei menestrelli non ebbero altra scelta che quella di fuggire di gran carriera, emigrando in America. Un film del 1997 ne ha celebrato la storia (un gran bel film) e, settant’anni dopo la nascita dei primi “Comedian”, altri sei berlinesi, invogliati proprio da quel film, si sono messi insieme per prendere il loro posto e diventando immediatamente anch’essi dei miti. Per rendersi conto di quello che riescono a fare sul palcoscenico occorre decisamente andarli a vedere: un disco ne rende solo una minuscola idea.
Ricordate il successone di un altro provetto e stravagante cantore tedesco nel Micat in Vertice di qualche anno fa? Quel Max Raabe che venne ai Rozzi con la sua originalissima Palast Orchester? Bene. I sei “Comedian” fate conto che siano sei Max Raabe. In teatro, lo vedrete, con questi eccezionali interpreti si avrà l’idea di più spettacoli contemporaneamente. Questi i loro nomi, timbro per timbro, Comedian per Comedian: Holger Off primo tenore; Ralf Steinhagen secondo tenore; Olaf Drauschke primo baritono; Philipp Seibert secondo baritono; Wolfgang Höltzel basso, e Horst Maria Merz, indaffaratissimo, al pianoforte. Ma il numero dei presenti in palcoscenico potrebbe anche aumentare. Nel senso che, ogni tanto, i “Comedian” ospitano cori femminili e vere e proprie orchestrine, o ancora la sorpresa di qualche cantante o personaggio famoso che, come nelle migliori abitudini del cabaret, viene invitato ad unirsi a canti e balletti.
Il pubblico presente ai Rozzi – e ricordiamo che la serata è in abbonamento promozionale dunque giovani e studenti non dimenticatevene chè ne perderete delle belle – godrà di innumerevoli rivisitazioni canore. Dalla tirolese orecchiabilità di quelle tedesche alle sorprendenti interpretazioni delle danze ungheresi o di pezzi di Rossini, sino alle ben note Happy Days o Amapola (per la gioia del direttore artistico chigiano Aldo Bennici, possiamo assicurare che lui la ama…); con poi le napoletane Oi Marì, Funiculì Funiculà e chissà quante altre tra canzoni e filastrocche della vecchia Europa delle tube e dei frac. Sulla molto accattivante canzonetta-simbolo, che dà il titolo al concerto, “Veronica, der Lenz ist da”, e che ascolteremo in apertura o in chiusura e forse infilata un po’ dovunque, riveliamo infine che la traduzione italiana che suona “Veronika, è arrivata la primavera” non è che corrisponda del tutto all’originale… Quel “Lenz”, infatti, che starebbe impropriamente per “primavera”, è in tedesco un termine che sa molto di maccheronico. In realtà, allude a un “tal dei tali principe azzurro” che appare bel bello e inaspettato alla trepidante Veronika per offrirle – diciamo – una primavera assai più smagliante. Il pepe di questa amena storiella (che fa da decenni letteralmente scompisciare i tedeschi) ve lo dispenserà a dovere questa allegra brigata dei sei baldi giovinotti made in Berlino, e lo farà tra melodie indimenticabili, strizzatine d’occhio e sorrisetti contagiosi. Ah, quando capiterà, vedrete che si rivolgeranno al pubblico e lo faranno in un italiano perfetto. Se poi qualche pronuncia la sbaglieranno, sapranno scherzarci sopra sprizzando coriandoli di simpatia. Aufidersehen, arrivederci a prestissimo allora, ed anche in un prossimo futuro, fantastici “bravi bravissimi” commedianti del canto in maschera che a Carnevale più in maschera non si può. Per gli ultimi biglietti (da 20 a 10 euro ben spesi, 6 i ridotti) lo 0577-22091 è il numero da comporre sperando che ai Rozzi vi sia ancora un posticino disponibile per una serata spumeggiante, di quelle da divertirsi da matti.
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SIENA …Diciamo che la neve di venerdi scorso ci ha messo lo zampino sul concerto del Trio Michelangelo String, facendolo diventare un “solum” con la pur sublime viola di Nabuko Imai. Sono gli incerti del sempre possibile imprevisto, e di un tempo dispettoso. Ma speriamo che presto il “Michelangelo” torni a Siena, magari per intero.
Per questo venerdi (19 febbraio), in quanto a tipo di musica si volta decisamente pagina. Dalle danze Dervishi alle marionette di Carlo Colla ed alle canzoni folk di Noa, questo grande caleidoscopio sul mondo delle note che è l’Accademia Chigiana aveva pertanto più volte proposto qualcosa che emulasse da un contesto prettamente classico, attenta però a serbarne sempre e comunque un certo filo di attinenza. Un legame sottile, una spiritualità di fondo, e soprattutto una solare gradevolezza non solo all’ascolto ma anche in funzione dell’apparato scenico. Se infatti assistere ad un concerto è ammirare “come si suona” e davanti all’opera è godere di un insieme di voci, costumi e ambientazioni nel supporto di un gigantesco mantice orchestrale in movimento, il seguire ora sul palco sei buontemponi che, ammiccando, cantano canzonette trascinanti (ma recitate con rigorosa preparazione e professionalità), ebbene, qui è andare oltre l’ammirazione e il godimento e siamo allo spasso puro. Col classico, si badi, che sta a un tiro di schioppo. Pensate a Rossini, Pergolesi, Mozart, gli Strauss, lo stesso Puccini. Ci hanno in realtà regalato pagine di grande cabaret allorché hanno trasformato le loro musiche e vicende in opera buffa o quand’anche in operetta.
I Berlin Comedian Harmonists, in scena alle ore 21 al Teatro dei Rozzi nella imperdibile serata destinata da Micat in Vertice ai lazzi e sberleffi del Carnevale, sono la derivazione naturale di una musica scanzonata che faceva da contrasto alle seriose sonorità epocali del primo ‘900: quelle in mutazione di pelle, la pelle del classico per eccellenza, che andava sì proponendo soggetti nuovi ma di difficile interpretazione popolare. Una infinità di piccoli gruppi, che non ci stavano ai bruschi cambiamenti, imperversavano amatissimi dal pubblico nei music-hall e nelle caffetterie liberty europee, particolarmente quelle di tradizione viennese.
L’anima tedesca, visceralmente festaiola e birraiola, smaltiva così gli orrori di una guerra appena finita e inneggiava alla sbornia della vita e mai immaginando che, quella così bella “époque”, sfociasse invece presto in un altro conflitto ben più terribile. Fu nel 1927 che tre tedeschi e tre ebrei berlinesi decisero di formare i “Comedian Harmonists”, col nome che diceva esattamente che avrebbero buttato tutto ma proprio tutto in commedia.
Il gruppo comprendeva cinque vocalists e un pianista su cui tradizionalmente anche sparare in stile vecchio saloon dato che, quei sei scatenati berlinesi, si rifacevano ad un sestetto americano bizzarro e stralunato, i cosiddetti Revelers”. A loro immagine e somiglianza, i “Comedian” prima maniera si misero a cantare con spiccato stile e umorismo mitteleuropeo le più famose ariette popolari del tempo, ed anche brillanti pezzi classici che rovistarono a piacimento rendendo la musica esilarante e mandando in visibilio tutte le platee. Il regime però cominciava a non vedere di buon occhio il semitismo, e fu così che i sei menestrelli non ebbero altra scelta che quella di fuggire di gran carriera, emigrando in America. Un film del 1997 ne ha celebrato la storia (un gran bel film) e, settant’anni dopo la nascita dei primi “Comedian”, altri sei berlinesi, invogliati proprio da quel film, si sono messi insieme per prendere il loro posto e diventando immediatamente anch’essi dei miti. Per rendersi conto di quello che riescono a fare sul palcoscenico occorre decisamente andarli a vedere: un disco ne rende solo una minuscola idea.
Ricordate il successone di un altro provetto e stravagante cantore tedesco nel Micat in Vertice di qualche anno fa? Quel Max Raabe che venne ai Rozzi con la sua originalissima Palast Orchester? Bene. I sei “Comedian” fate conto che siano sei Max Raabe. In teatro, lo vedrete, con questi eccezionali interpreti si avrà l’idea di più spettacoli contemporaneamente. Questi i loro nomi, timbro per timbro, Comedian per Comedian: Holger Off primo tenore; Ralf Steinhagen secondo tenore; Olaf Drauschke primo baritono; Philipp Seibert secondo baritono; Wolfgang Höltzel basso, e Horst Maria Merz, indaffaratissimo, al pianoforte. Ma il numero dei presenti in palcoscenico potrebbe anche aumentare. Nel senso che, ogni tanto, i “Comedian” ospitano cori femminili e vere e proprie orchestrine, o ancora la sorpresa di qualche cantante o personaggio famoso che, come nelle migliori abitudini del cabaret, viene invitato ad unirsi a canti e balletti.
Il pubblico presente ai Rozzi – e ricordiamo che la serata è in abbonamento promozionale dunque giovani e studenti non dimenticatevene chè ne perderete delle belle – godrà di innumerevoli rivisitazioni canore. Dalla tirolese orecchiabilità di quelle tedesche alle sorprendenti interpretazioni delle danze ungheresi o di pezzi di Rossini, sino alle ben note Happy Days o Amapola (per la gioia del direttore artistico chigiano Aldo Bennici, possiamo assicurare che lui la ama…); con poi le napoletane Oi Marì, Funiculì Funiculà e chissà quante altre tra canzoni e filastrocche della vecchia Europa delle tube e dei frac. Sulla molto accattivante canzonetta-simbolo, che dà il titolo al concerto, “Veronica, der Lenz ist da”, e che ascolteremo in apertura o in chiusura e forse infilata un po’ dovunque, riveliamo infine che la traduzione italiana che suona “Veronika, è arrivata la primavera” non è che corrisponda del tutto all’originale… Quel “Lenz”, infatti, che starebbe impropriamente per “primavera”, è in tedesco un termine che sa molto di maccheronico. In realtà, allude a un “tal dei tali principe azzurro” che appare bel bello e inaspettato alla trepidante Veronika per offrirle – diciamo – una primavera assai più smagliante. Il pepe di questa amena storiella (che fa da decenni letteralmente scompisciare i tedeschi) ve lo dispenserà a dovere questa allegra brigata dei sei baldi giovinotti made in Berlino, e lo farà tra melodie indimenticabili, strizzatine d’occhio e sorrisetti contagiosi. Ah, quando capiterà, vedrete che si rivolgeranno al pubblico e lo faranno in un italiano perfetto. Se poi qualche pronuncia la sbaglieranno, sapranno scherzarci sopra sprizzando coriandoli di simpatia. Aufidersehen, arrivederci a prestissimo allora, ed anche in un prossimo futuro, fantastici “bravi bravissimi” commedianti del canto in maschera che a Carnevale più in maschera non si può. Per gli ultimi biglietti (da 20 a 10 euro ben spesi, 6 i ridotti) lo 0577-22091 è il numero da comporre sperando che ai Rozzi vi sia ancora un posticino disponibile per una serata spumeggiante, di quelle da divertirsi da matti.
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