Dal testo della scrittrice ungherese Agota Kristof, con la regia di Laura Fatini, lo spettacolo diventa lo spunto simbolico per una riflessione sulla necessità della parola al femminile. Una donna che racconta la sua vita trascorsa chiusa in una stanza, come una castellana d'altri tempi. L'amore protettivo del suo principe azzurro che si rivela una sottile e continua tortura.
La chiave dell’ascensore mette in scena la dinamica perversa di un amore che diventa possessione. Con un meccanismo circolare e ripetuto, la protagonista subisce continue menomazioni da parte del marito: tutto viene fatto per amore, come lei stessa afferma più volte, per proteggerla dalmondo, dal trascorrere del tempo, per farla assomigliare sempre di più ad un oggetto degno d’amore.
Prima le viene tolta la libertà di uscire di casa, poi, la capacità di camminare, poi quella di vedere, quella di sentire, e infine… la voce. Ma è a questo punto che la protagonista si ribella: la voce, la capacità di dare testimonianza, diventa il simbolo del suo stesso esistere.
Una pièce teatrale agghiacciante e precisa affidata all'interpretazione di Martina Guideri e alle coreografie della danzatrice Elisa Bartoli, con un linguaggio che incide come una lama chirurgica. Un viaggio nel freddo inferno di una vittima che diventa carnefice.
Prossimo appuntamento, giovedì 8 aprile con Il Canto dei Barboni e Regina, altre due forme di violenza ed emarginazione affidate all'interpretazione del Teatro Schabernack.
Per informazioni: <www.liberocircuito.<it; <sobborghi@libero.it; tel.348 3545211