In esposizione dieci opere di Silvano Porcinai, uno di quei frutti intellettuali sempre più rari che nascono dall’impasto della cultura contadina con un umanesimo che affonda le sue radici lontane fino nella Toscana rinascimentale.
Cinghiali, tori e chimere si offrono alla vista come dei veri e propri gioielli scultorei. Goderne è un po’ come era, fino a qualche generazione fa, ascoltare i racconti di qualche vecchio contadino e stare a sentire i movimenti eleganti e musicali di una lingua forbita e arcaica.
Silvano è un artista curioso della natura, della forza animale, della mitologia antica. La sua produzione sconfina, attraverso il mito del minotauro, nel mistero rituale e feroce della corrida, con la potenza dei tori, l’eleganza dei matador, dei banderilleros, la spazialità grave delle grandi cappe rosse da arena.
Il torero molto spesso si ibrida con l’animale che deve uccidere e compare con la testa, talvolta addirittura il bucranio, del toro. La mano di Porcinai plasma i suoi soggetti e le sue fantasie con la raffinata eleganza dell’orafo, attività a cui si è dedicato per decenni, ma egli è scultore a tutto tondo e soprattutto è un genuino poeta. Non a caso un altro poeta e scultore come Massimo Lippi, impastato della stessa terra e intriso della sapienza che viene dalle radici del mondo, gli ha dedicato versi sentiti che si dedicano solo agli individui che sanno capirli: quelli della stessa specie.