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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Morte di Sara Roncucci: chiesta l’archiviazione del caso

I medici hanno sbagliato, ma non ci saranno colpevoli per il decesso della donna

Sara Roncucci

LATINA. Dallo Studio 3 A riceviamo e pubblichiamo.

“Scostamenti dalle linee guida e dalle buone pratiche, incongruenze rispetto alla gestione sanitaria attesa quanto a tempestività e incisività. Il consulente tecnico della Procura che ha effettuato la perizia medico legale per stabilire le cause della morte di Sara Roncucci ha confermato che, con particolare riferimento al Pronto Soccorso dell’ospedale di Latina, l’operato dei medici fu lacunoso, ma a suo giudizio si può affermare solo in termini di probabilità, e non anche di assoluta certezza, che una diversa – e corretta – gestione del caso avrebbe potuto salvare la paziente.

E’ (solo) in forza di questa considerazione che il Pubblico Ministero ha chiesto l’archiviazione del procedimento penale per il decesso della giovane mamma di Latina, la cui vicenda nei mesi scorsi scorsi ha destato clamore e unanime sconcerto per i suoi terribili e vasti risvolti, finendo anche nei media nazionali: un calvario lungo oltre tre mesi, iniziato il 2 settembre 2016, da un intervento di routine, un by-pass gastrico all’ospedale di Siena per superare i suoi problemi (genetici) di obesità; “esploso” il 10 settembre all’ospedale di Latina, dove la 31enne originaria di Sinalunga, colpita da una emorragia addominale per il distacco di una “graffetta” dell’operazione, è andata in arresto cardiaco riportando gravi danni cerebrali, e culminata con il decesso avvenuto il 27 dicembre dopo una grave crisi polmonare nella casa di cura “Habilita” di Zigonia di Ciserano (Bergamo), dove stava effettuando la riabilitazione neurologica. Tre strutture coinvolte e ben 25 medici iscritti nel registro degli indagati dal Sostituto Procuratore di Bergamo, dott.ssa Carmen Pugliese, titolare del fascicolo per omicidio colposo aperto in seguito all’esposto presentato presso i carabinieri della stazione di Zigonia dal fratello e dal compagno della vittima, all’indomani della tragedia.

Le conclusioni del medico legale e la richiesta del Pm sono state accolte con comprensibile amarezza dai familiari di Sara, che per fare luce sui fatti e per ottenere giustizia si sono rivolti, attraverso la consulente personale, avvocato Simona Longo, a Studio 3A, società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità in ogni tipologia di sinistro, a tutela dei diritti dei cittadini. La famiglia, tuttavia, ha deciso di non presentare opposizione contro il provvedimento del magistrato, per affidarsi al giudizio del Gip e per concentrarsi sull’azione civile, dove la logica “dell’in dubio pro reo” che vige nel procedimento penale sarà completamente ribaltata a favore dei danneggiati, e nell’ambito del quale quanto meno una delle tre strutture ospedaliere dov’è stata ricoverata Sara, quella della sua città, sarà chiamata a rispondere degli errori commessi dal suo personale, come emerge chiaramente dalla perizia medico legale.

Innanzitutto, infatti, il dott. Matteo Marchesi, il consulente incaricato, riscontra la piena “sussistenza del nesso di causalità tra gli eventi patologici verificatisi a settembre ed il decesso della paziente nel successivo mese di dicembre”. Pur essendo spirata presso la clinica Habilita, infatti, secondo il medico legale il personale della casa di cura lombarda poco avrebbe potuto fare di fronte alla situazione di “compromissione neurologica pressoché completa e persistente, aggravata ulteriormente dalla sindrome da allettamento”, nella quale la paziente si trovava già al momento del ricovero, e che, come capita spesso in queste circostanze, “è esitata in un’insufficienza cardio-circolatoria con congestione ed edema polmonare terminale”.

La causa della morte della signora Roncucci – scrive il CTU – è da identificare in una iniziale deiescenza dell’anastomosi gastro-ileale e in una mobilizzazione di una clip chirurgica apposta per la chiusura di un vaso arterioso gastrico, in un soggetto sottoposto ad un intervento chirurgico di mini byass gastrico”. Secondo il dott. Marchesi, tuttavia, ai medici dell’ospedale “Alle Scotte” di Siena che effettuarono l’operazione non si potrebbero ascrivere particolari responsabilità, in quanto “la deiescenza dell’anastomosi gastro-digiunale resta una delle più temibili e insidiose complicanze della chirurgia bariatrica” e, soprattutto, perché, non essendosi manifestata a ridosso dell’intervento ma a giorni di distanza, in termini probabilistici essa non è da ritenersi l’espressione di un cedimento della sutura chirurgica per un difetto di confezionamento di questa, ma il risultato di una sofferenza della parete gastro-enterica. Se la clip in questione fosse stata posta in modo scorretto, il sanguinamento si sarebbe manifestato subito”.

Tutt’altro discorso, invece, per “lo stato settico e per l’emorragia addominale” che ne conseguirono, e che hanno portato a un “episodio di arresto cardiaco nel corso del quale si verificò una grave sofferenza encefalica acuta ipossico-ischemica, con profonda alterazione dello stato di salute del soggetto”. Il dott. Marchesi si sofferma parecchio sull’operato del personale del Pronto Soccorso dell’ospedale “S. Maria Goretti” di Latina ma, contrariamente a quanto era parso inizialmente, ravvisa solo mancanze lievi in occasione del primo accesso, quello del 9 settembre, quando Sara Roncucci, in preda a forti dolori addominali, con la febbre e l’emorragia già in corso, venne rimandata a casa con un semplice analgesico. “La paziente fu sottoposta a una valutazione clinico-chirurgica. Nel verbale ospedaliero non risulta descritta l’obiettività di presentazione: si tratta di una carenza documentale su cui si deve eccepire, tanto più per pazienti fragili e appena sottoposti ad un’operazione, come nello specifico. Altro aspetto su cui eccepire è la mancanza di annotazioni circa la regressione o meno del dolore” scrive il medico legale, il quale osserva tuttavia che “la modesta quota di versamento evidenziata dalla Tac dell’addome non è rara in pazienti sottoposti di recente a chirurgia addominale digestiva”, che “non vi erano, dunque, segni di sanguinamento” e che i vari elementi rilevati come la “febbricola, la lieve tachicardia, la neutrofilia e il modesto versamento (…) apparivano ancora coerenti con lo stato infiammatorio conseguente ai recenti atti chirurgici. Per tale motivo, tali dati paiono insufficienti per censurare il fatto di non averne data ex ante una diversa interpretazione diagnostica”.

E’ invece l’attenta valutazione del secondo accesso, quello dell’indomani, 10 settembre, quando il compagno, alle 9 e mezza del mattino, riportò al Pronto Soccorso Sara dopo una notte di sofferenze indicibili, ad aver raccolto le maggiori (e numerose) censure da parte del consulente tecnico della Procura. Secondo il dott. Marchesi, “sotto il profilo infiammatorio/infettivo gli elementi clinici per sospettare un fatto settico in corso furono senz’altro consistenti, più di quelli sotto il profilo emorragico, e infatti alle 10.35 fu impostata una terapia antibiotica. Negli altri provvedimenti da attuare entro tre ore dall’ingresso in ospedale, tuttavia, non si riscontra un’aderenza alle misure raccomandate: non risulta che fossero state disposte delle emocolture prima della somministrazione degli antibiotici, né che fosse stata valutata in modo tempestivo la concentrazione ematica del lattato”. Il primo valore di questa concentrazione reperibile nella documentazione clinica è nel referto di un’emogasanalisi delle 13.57, di cui peraltro è del tutto dubbia l’attinenza con il caso in esame: c’è scritto il cognome di un’altra persona! Alla mancata valutazione del lattato – continua il CTU – è conseguita la mancata valutazione dell’eventuale indicazione ad una tempestiva somministrazione di liquidi anche in assenza di ipotensione arteriosa”. Inoltre, “non risulta che sia stata poi rivalutata in quelle ore l’emodinamica della paziente: le uniche registrazioni dei valori di pressione arteriosa, frequenza cardiaca e saturazione ematica d’ossigeno fanno riferimento al momento dell’ingresso della paziente in ospedale. Tali parametri invece avrebbero dovuto essere rivalutati nel corso delle ore. Parimenti, non v’è menzione di un controllo della produzione delle urine, altro parametro rilevante per la valutazione dell’emodinamica”. Ancora, “quando, alle 12.32, fu palese che il quadro clinico si stesse aggravando, risulta solo che la paziente fu posta in sala rossa, senza menzione di una dettagliata rivalutazione dei parametri vitali e dell’esame obiettivo. Vi è un silenzio documentale fino alle 13.33, quando risulta che fu prescritta solo della morfina”, che peraltro sarebbe stata effettivamente somministrata soltanto un’ora dopo, alle 14.34, e di cui non si comprendono neanche bene le ragioni visto che, anzi, “essa ha tra i suoi effetti collaterali quello della vasodilatazione e può così aggravare gli stati ipotensivi”. E non meno “difficile da comprendere – incalza il medico legale – è il tempo intercorso tra le 12.32, orario nel quale fu annotato “si chiama il rianimatore e il cardiologo, e le 13.47-13.49, orario nel quale furono registrare le richieste di un elettrocardiogramma e di una consulenza rianimatoria e l’orario in cui quest’ultima venne svolta”.

In buona sostanza – riassume la perizia – si deve concludere che il sospetto diagnostico del fatto settico fu posto, ma poi non furono poste in essere in modo completo tutte le misure raccomandate per contrastarne l’evoluzione. Inoltre, quando alle ore 12.32 fu manifestato un aggravamento del quadro clinico, non risultano essere stati messi in atto dei provvedimenti diagnostico-terapeutici che possano dirsi tempestivi e incisivi”. Dunque, si rilevano “scostamenti rispetto alle linee giuda e alle buone pratiche raccomandate dalla comunità scientifica nonché incongruenze rispetto alla gestione sanitaria attesa, che avrebbe dovuto essere più serrata e tempestiva. Un’ipotetica, diversa gestione del caso avrebbe probabilmente consentito di evitare l’arresto cardiaco, che diede luogo alla grave sofferenza encefalica e alla vicenda clinica che ne conseguì, e che si concluse con il decesso della paziente”.

E allora? “Non è però possibile, nel caso di specie – conclude la perizia – dare una quantificazione di tale probabilità e dimostrare che essa sarebbe stata prossima ad una ragionevole certezza”. Morale della (triste) favola, a meno che il Giudice per le Indagini Preliminari non opti per l’imputazione coatta, per la morte di Sara Roncucci penalmente non ci sarà nessun colpevole. “Ma noi, comunque sia, non demordiamo – assicura il Presidente di Studio 3A, dott. Ermes Trovòe ci batteremo con ogni mezzo per dare risposte alle istanze di giustizia della famiglia di Sara in sede civile, dove l’Asl di Latina sarà chiamata ad assumersi tutte le responsabilità per gli indubbi errori commessi dai propri medici e infermieri”.

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