Aurigi: "Come il “decisionismo” ha demolito la “senesità”"
di Mauro Aurigi
SIENA. Trovo irritante il modo con cui troppi oggi continuano ad attribuire le condizioni in cui il Monte dei Paschi versa, alla indebita “occupazione” della banca da parte della sedicente sinistra. Lo trovo irritante perché tutti, ma proprio tutti tacciono scientemente (o inconsapevolmente per propri limiti personali) su un fatto indiscutibile: essi stanno illustrando un effetto, il quale, come tutti gli effetti, ha una causa che, ovviamente, sta a monte e che, ovviamente, viene tranquillamente trascurata.
LA PRIVATIZZAZIONE, MADRE DI TUTTE LE NEQUIZIE
Non si interrogano infatti sul perché tutti quegli avidi signori insediatisi nella banca non abbiano potuto ordire alcuna delle loro sordide imprese prima del 1995, quando il loro potere politico era ancora più forte. Insomma ai critici sfugge (?) che il 1995 non è solo lo spartiacque tra banca pubblica e banca privata, ma anche tra banca bene amministrata e banca male amministrata. E quindi sfugge (?) loro che la madre di tutte le nequizie fu appunto la privatizzazione della Banca nel 1995, sostenuta da tutte le forze che in Italia contano: partiti e politici (tutti: non solo Pci ma anche Fi e L.N. in testa), Confindustria e confindustriali (tutti), sindacati e sindacalisti (tutti), giornaloni e giornalistoni (tutti), economisti e cattedratici (tutti), Banca d’Italia (tutta) e perfino la Chiesa. Allora si oppose solo l’ “Associazione per la difesa del Monte”, in sintonia con la stragrande maggioranza dei Senesi (le Contrade affissero anche un pubblico manifesto). Lo scontro ovviamente fu impari (furono respinti ben tre tentativi di indire un referendum comunale) e la banca fu “privatizzata”, termine che ha la sua radice in “privare”. Come aspettarsi, dopo, che il Monte non facesse la fine di tutte le imprese pubbliche quando vengono privatizzate? Si pensi a come è stata ridotta la Telecom, già più grande impresa italiana, dopo la privatizzazione.
Ciononostante l’ “Associazione” fece immediato ricorso al TAR (la banca apparteneva all’erario comunale e non a quello statale), il quale assai sollecitamente rispose 11 anni dopo e solo per sapere se eravamo ancora interessati all’emissione di una sentenza. Ovviamente neanche rispondemmo: come interloquire con un TAR che, per annullare le nuove nomine nella Deputazione amministratrice del Monte fatte dal sindaco Piccini nel 1995 in funzione anti-privatizzazione, ci mise invece solo 20 giorni dalla presentazione di un ricorso avanzato dallo stesso Monte?
QUALE ALTERNATIVA POTEVA ESSERCI?
Ora, tanto zelo dei critici verso chi ha amministrato il Monte dopo la privatizzazione del 1995, sarebbe giustificato se solo essi riuscissero a ipotizzare un’alternativa a quegli amministratori “privati” insediatisi al Monte dopo il 1995, alternativa che avrebbe potuto essere una sola: la presa del potere politico da parte di Forza Italia-Lega Nord, invece della sedicente sinistra. Ecco allora che i critici sarebbero stati accontentati: il Monte avrebbe potuto avuto come presidente Verdini, oggi condannato a 9 anni di carcere per il fallimento del Credito Cooperativo Fiorentino, e magari come vice-presidente un figlio di Bossi in rappresentanza della Lega che già aveva distrutto la sua Banca CredieuroNord. Verdini al posto di Mussari e Bossi al posto di Gabriello Mancini? Ma per favore!…..
Ma quello che più irrita è l’agile balzo con cui quei critici evitano ogni accenno al fatto che anche eccellenti berlusconiani di provata fede facessero parte del governo del Monte dopo la privatizzazione, come – tanto per citarne due – Querci e Pisaneschi (quest’ultimo premiato anche con la presidenza dell’Antonveneta e ho detto tutto). Si è mai sentito da parte di questi un solo preoccupato commento a proposito della gestione “spendereccia” del Monte? O si è mai sentito un intervento da parte di Berlusconi contro quei “comunisti” che amministravano il Monte e che invece altrove gli rovinavano il sonno e la digestione? No, vero? Il fatto è che anche per loro valeva il principio che non si sputa nel piatto in cui si mangia tanto e bene.
QUANDO GLI AMMINISTRATORI SENTIVANO IL FIATO DEL POPOLO SUL COLLO
Che sia stata la privatizzazione a scuotere sin dalle radici il Monte, l’aveva profeticamente e sinteticamente spiegato bene il democristiano Barucci, arrivato alla presidenza della banca nel 1983. Intervistato dal “Sole 24 Ore”, così rispose quando gli fu domandato che effetto facesse passare dalla presidenza della facoltà di Economia di Firenze alla presidenza del Monte: ”Un effetto strano. Dieci minuti dopo che si è assunta una decisione nella Deputazione Amministratrice (il cda del Monte, nda) se ne discute al bar del Nannini. Ti senti il fiato della gente sul collo”. Ecco cosa ha comportato la privatizzazione: la scomparsa del “fiato della gente sul collo” degli amministratori del Monte. Tanto che l’allora sindaco Cenni e l’allora presidente della Provincia Ceccherini si premurarono subito – zelanti! – di avvertire i rispettivi Consigli che Monte e Fondazione erano ormai aziende private per cui non potevano più essere materia di discussione. In sostanza si trattò della perdita della già orgogliosa “senesità”. Quella “senesità” che è l’unico motivo per cui, caso unico al mondo, una piccola città emarginata fisicamente e culturalmente – la più piccola della Toscana, isolata nel profondo sud della regione – aveva potuto partorire, nutrire e fare crescere la banca più antica e tra le più solide del pianeta, certamente la più ricca e solida del nostro Continente. Una banca insomma che altrimenti avrebbe potuto stare solo a Singapore o Francoforte o New York e anche a Milano, ma mai a Siena, dove sarebbe soffocata sul nascere. Ma la perdita della “senesità” ha a sua volta una causa: l’instaurazione del “decisionismo” a partire dagli anni ‘80 con l’arrivo a Siena di due alieni: Luigi Berlinguer all’università e Pierluigi Piccini al Comune. E’ bastato un quarto di secolo per indurre una mutazione antropologica dei Senesi: da cittadini a sudditi, da popolo a plebe (un bel ballino di milioni di euro del Monte furono infatti consumati anche nel panem et circenses).
CHI OGGI STRILLA TANTO, DOVE ERA ALLORA?
Così appare chiaro che la colpa principale non è della politica o dei politicanti, ma del popolo senese che si è fatto convincere a passare dal ruolo di padrone a quello di servo e a ringraziare pure per tanto onore. Fatto sta che fino al 2010, quando fu ormai chiaro che le cicale avevano annientato quello che le formiche avevano accumulato in mezzo millennio, eravamo rimasti quattro gatti a sostenere, tra la generale ilarità e il generale dileggio, che il re era nudo e i bilanci erano fuffa (i miei interventi alle assemblee del Monte li ho registrati qui).
Quelli che oggi strillano tanto, dove erano allora?
Mauro Aurigi