Intervista esclusiva di Daio Tiengo a Carmine Petolicchio
di Dario Tiengo
MILANO. Carmine Petolicchio, 47 anni, ha una lunga esperienza nel campo finanziario e del credito. Comincia a lavorare nel mondo della promozione finanziaria fin dagli albori della riforma del 1991. Per 12 anni, tra praticantato e abilitazione, ha svolto la professione di promotore finanziario. Un’esperienza centrata sul mondo della raccolta di risparmio e, quindi, degli investimenti. Nel 2004 decide di costituire una società di consulenza. Nel 2009 entra nel mondo dei Confidi, visti i contatti ormai consolidati, trattando di piccole imprese. Con questa scelta rafforza esperienza e conoscenza del mondo delle PMI. Nel 2011, con la crisi in atto, il mondo dei Confidi comincia a scricchiolare. Le banche in quel momento, soprattutto le grandi, “scaricano” i Confidi, cercando di recuperare tutto il recuperabile. “Ancora una volta, come mi era accaduto nel mondo della consulenza finanziaria ho dovuto constatare la voracità delle banche che, a volte, sfociava nell’ assenza di scrupoli. Tutto per il profitto e pochissima attenzione al cliente” afferma Petolicchio. Proprio per reagire a questa situazione, Petolicchio si stacca dai Confidi e sceglie la strada della consulenza indipendente, oggi rappresentata dalla Mediazione Creditizia. Grazie alla sua esperienza e alla sua disponibilità, giornalepartiteiva.it ha avviato una collaborazione che ha inizio con questa intervista e che si svilupperà affrontando i temi del credito e della finanza per pmi e partite iva. (www.maqer.it )
Lei è sempre stato vicino alle problematiche delle piccole e medio imprese. Cosa lo ha portato a fare la scelta della mediazione creditizia?
L’esperienza che ho fatto, sia nel mondo delle PMI, ma anche con le famiglie, mi ha consentito di capire quanto fosse necessaria la presenza di una nuova figura professionale, in grado di rappresentare gli interessi dei clienti nei rapporti con le banche, troppo sbilanciati a favore di queste ultime. I fatti hanno dimostrato che la fiducia incondizionata riposta da famiglie e piccole imprese nel sistema finanziario non è stata sempre ricompensata dalle banche che, al contrario, spesso li hanno raggirati per rincorrere profitti immediati, anche grazie alla connivenza di emissari spregiudicati o impreparati.
Parole pesanti non le sembra?
Forse sì, ma mi è capitato di vedere famiglie che avevano da parte 50mila euro rimanendo poi solo con 25mila perché avevano investito su un fondo azionario che non avrebbe mai più fatto rivedere loro quei soldi. Ma non c’erano scrupoli.
E quindi ora da che parte sta?
Ho deciso di stare dalla parte del cliente, quindi, a sua tutela esclusiva, senza remore nei confronti dei miei interlocutori istituzionali che siano banche o società finanziarie. E’questa la scelta forte da parte mia e, infatti, quando abbiamo dovuto decidere se costituire una società di agenti in attività finanziaria, abbiamo scelto quest’ultima.
Chi è il mediatore creditizio?
Secondo la normativa è quello che mette in relazione il proprio cliente con l’intermediario finanziario. Oggi è l’unico che lo può fare secondo la normativa. Molti altri lo fanno, anche altri professionisti, ma in maniera abusiva. I commercialisti, ad esempio. Moltissimi continuano a fare business plan legati al finanziamento e si fanno pagare in virtù del finanziamento acquisito. Loro continuano a sostenere che lo possono fare ma la legge è chiara: non è così.
Come sempre bisogna guardare da che parte vengono i soldi per capire da che parte si sta. Il mediatore creditizio dove guadagna?
Ci sono due categorie: il mediatore creditizio mascherato da agente plurimandatario che è quello che in realtà prende pochissimo dal cliente e fa, sotto mentite spoglie, l’agente delle banche con cui ha la convenzione. Quindi, vende prodotti e spesso polizze assicurative legate a quei prodotti. Guadagna principalmente grazie alle provvigioni pagate dalla banca o dalle assicurazioni. E’ una scelta che rivela come non si abbia la forza di dire al proprio cliente: “affidati a me e mi paghi perché io individuo la soluzione migliore che tu possa avere – ovviamente date le tue condizioni – e ti proteggo da tutte le insidie che questi interlocutori proveranno a farti sottoscrivere.”
Quindi se pago poco devo essere diffidente?
E se non paghi ancora peggio, perché vuol dire che il tuo interlocutore è costretto a portarti là dove gli danno le provvigioni.
Mentre con voi il rapporto come si sviluppa?
Noi diciamo ai nostri clienti: venite da noi e ci pagate perché noi facciamo i vostri interessi. Quando devono andare in banca ci chiedono di accompagnarli o, se vengono contattati per sottoscrivere qualche documento, si fanno inviare dalla banca – ed è un cambio di mentalità fortissimo – il contratto che dovranno firmare il giorno dopo. Nella pratica giornaliera, i clienti il contratto di mutuo lo vedono il giorno in cui firmano. Noi portiamo i nostri clienti ad essere consapevoli. Vogliamo che la banca invii prima il contratto, noi lo leggiamo insieme al cliente, gli spieghiamo le insidie, cerchiamo di migliorare, là dove è possibile, le condizioni e di eliminare eventuali imprecisioni. In caso non sia adeguato, verifichiamo se ci sono alternative valide e Intermediari disponibili a proporre la soluzione giusta per lui.
Le vostre commissioni chi le paga?
Le paga il cliente.
Facciamo un esempio. Su 100mila euro di finanziamento quanto guadagnate?
La media è il 2%. È chiaro che su un’operazione di 100mila euro si pagherà anche un 3%. In un’operazione da mezzo milione il 2,5. Un milione il 2%. Ci deve essere una proporzione però; tendiamo prima di tutto a far capire al nostro cliente l’importanza di una scelta ottimale per lui, ragionata. Ad esempio, non è vero che per avere più credito devi cambiare banca. Spesso la soluzione è all’interno dell’Istituto con il quale già lavori, però devi interloquire in modo diverso. Ti devi rapportare alle loro logiche e devi utilizzare i loro strumenti di analisi per ottenere quello di cui hai bisogno. Serve un consulente che ti indichi la strada, gli accorgimenti da apportare e attuare.
Questo rispetto a delle prassi che in passato o erano di investimenti a pioggia o di investimenti diciamo amichevoli?
In realtà, siamo passati a quelle che tutti chiamano ‘le regole di Basilea’ che hanno uniformato, modificandolo, il sistema di profilatura dei rischi aziendali di tutte le banche europee. Il nostro sistema era basato sul patrimonio, per cui ti veniva concesso un credito se avevi un patrimonio sufficiente. Non era solo una questione di tutela del credito ma anche la valutazione della capacità imprenditoriale per creare il patrimonio stesso. C’era questa doppia lettura: “sei bravo come imprenditore perché hai creato questo patrimonio e io sono garantito dal tuo patrimonio”. Da questo scenario siamo passati ad avere la redditività dell’impresa come elemento centrale. Le banche sono state costrette ad applicare questo criterio, non è stata una scelta.
Rimane un interrogativo. Dopo questa “rivoluzione” le banche sono capaci di valutare correttamente ?
Il punto è che queste regole sono basate sulla media delle aziende europee che hanno mediamente dimensione dieci volte superiori a quelle italiane. Da noi si fa grande fatica a percepirlo e ad integrarsi. Ci sono problematiche molto forti anche da parte delle imprese, che non presentano i dati in modo “leggibile” dal sistema creditizio, perché i commercialisti impostano il bilancio valutandone l’aderenza ai principi contabili e gli impatti fiscali e tributari, trascurando quelli finanziari.
Ci sono quindi problemi di classificazione. E’ il tanto odiato rating?
Vista la situazione di cui ho detto prima, spesso siamo in presenza di una riqualificazione arbitraria da parte delle banche, soprattutto per le piccole imprese individuali o di persone. In Italia è ancora molto diffusa la contabilità semplificata che non trova riscontro nei modelli di riclassificazione utilizzato dalle banche.
Mi spieghi meglio. Cosa dovrei fare se avessi una piccola azienda?
Fare una riscrittura del bilancio con il commercialista così che quando il sistema informatico chiede al funzionario il dato lui abbia gli elementi per inserirlo. Evita così fraintendimenti ed errori. Ci sono poi anche altre problematiche. Nel nostro panorama imprenditoriale molte volte il patrimonio dell’azienda e della persona coincidono, per cui è complicato calcolare gli indici. Ci sono molti imprenditori che abitano in un immobile di proprietà dell’azienda. Si fa grande fatica a tradurre la realtà nel linguaggio di analisi utilizzato oggi dalle banche, che a loro volta sono state costrette ad utilizzarlo. Siamo in una fase in cui si sono sovrapposti i metodi di analisi per l’accesso al credito.
Negli altri paesi cosa succede?
Se da un lato si deve rispondere ai principi di redditività dall’altro la banca italiana è culturalmente legata al tuo patrimonio, ti chiede anche la firma di garanzia basata sul tuo patrimonio. In Francia, in Germania o Lussemburgo se tu hai la redditività come impresa, nessuno ti chiede una firma di garanzia. Spesso gli imprenditori italiani, alla richiesta di un finanziamento, si sentono dire dalla banca “io ci credo se tu ci credi”. Una frase che è una contraddizione in termini se guardiamo alle regole di Basilea, che dicono invece che devi avere la redditività sufficiente a giustificare il credito. Ora, in Italia siamo nella situazione in cui dobbiamo ottemperare ai criteri della redditività e allo stesso tempo le nostre banche ci chiedono anche le firme personali come garanzia, perché sono abituate a ragionare in questi termini e non perdono questa abitudine.
Ma ci sarà un modo per fare un passo avanti, non crede?
Sì, succede quando arriva un consulente consapevole che chiede al funzionario della banca perché sta facendo quella richiesta. Spesso il problema non è tanto della banca quanto del bancario che è abituato a fare così.
Ma la richiesta di garanzie personali è così diffusa?
Sta diminuendo, è meno forte rispetto a prima, ma la cultura del bancario di vecchia generazione porta a questo. Una delle grandi battaglie che facciamo è quella di separare il patrimonio dell’imprenditore da quello dell’impresa.
Come vedono le banche voi mediatori?
In realtà, le banche non ci vedono. La legge è viziata da questo mancato obbligo di riconoscimento da parte dell’intermediario. Perché obbligo? Perché oggi la banca ci chiede di non figurare, contrariamente alla legge, e lo fa per due motivi. A volte sono separati. Il ragionamento è questo “se tu figuri ufficialmente io ti devo inserire all’interno della mia piattaforma informatica e non ho neanche il campo dove metterlo”. Siccome la riforma è tutto sommato ancora recente, nel mondo delle imprese a livello territoriale – perché non esiste nel mondo delle imprese l’accentrato – molte banche non hanno ancora nel loro sistema la voce “costi di mediazione”. Il secondo motivo riguarda l’atteggiamento della banca verso i mediatori creditizi che sono lì per salvaguardare gli interessi dei loro clienti e non quelli della banca. Questo li destabilizza un po’. Il paradosso è che il nostro Organismo di Vigilanza, in caso di ispezione, tra gli adempimenti principali ci chiede di dimostrare come abbiamo comunicato le nostre commissioni alla banca.
Quindi, per salvaguardare questi interessi cosa fate?
Siamo costretti ad andare in banca con il cliente e poi fare una pec alla banca stessa per dire: ‘Attenzione! Sono venuto con il cliente a chiedere un finanziamento.’ Questo per spingere meccanismi che obblighino la banca a riconoscerci. E’ una battaglia che propongo sempre alle associazioni che ci rappresentano: “dovete obbligare le banche. C’è una legge”. E’ un grande problema tutto da risolvere. L’unico interesse della banca che dobbiamo curare è quello che i documenti presentati dal nostro cliente siano veritieri.
Dalla parte del cliente e non della banca. Ma la diffidenza delle banche ha qualche ragione di essere?
Essere dalla parte del cliente significa anche essere corretti e responsabili. In realtà, c’è anche un mondo legato soprattutto ai piccoli imprenditori e ai modelli unici non veritieri, che oggettivamente incide. La vecchia categoria dei mediatori creditizi deve fare un mea culpa enorme perché sono stati loro ad usare certi trucchi. Ma quello che le banche non dicono è che a volte certi finanziamenti “facili” sono stati erogati con il benestare dei loro rappresentanti sul territorio, che avevano facoltà di delibera. E, ancora, che, siccome sapevano che i mutui sarebbero stati cartolarizzati, ponevano poca attenzione ai requisiti dei richiedenti, perché sapevano di trasferire il rischio ad altri soggetti.
Se io sono una piccola o media azienda o anche un professionista che ha bisogno di un mutuo e non sa come orientarsi, come trovo un operatore specializzato?
Oggi si va dal commercialista o direttamente in banca. Noi, attraverso le rete di agenti e collaboratori, lavoriamo per intercettare le esigenze sul territorio. Come sempre ci sono difficoltà, spesso culturali, specie nel mondo delle piccole imprese. Molte non sono disposte a pagare la consulenza, prima di aver ottenuto il finanziamento, sarebbe come dire all’avvocato: “ti pago solo se vinciamo la causa”. Il web può aiutare, noi riceviamo molti contatti dal sito www.maqer.it, cui facciamo seguire un incontro nei nostri uffici o in azienda. In ogni caso, mi sento di dare due consigli: 1) diffidare della frase troppo diffusa “non ti preoccupare faccio tutto io”, perché tende a non rendere consapevole il cliente delle sue potenzialità; 2) verificare che il proprio interlocutore sia iscritto negli elenchi tenuti dall’OAM sul sito www.organismo-am.it, in modo da evitare abusivi.
In pratica, perché un’azienda dovrebbe affidarsi a voi. Che garanzie ha in più?
Garanzie di conoscenza e soprattutto di consapevolezza di quello che si firma. Abbiamo interesse che il cliente sappia innanzitutto che cosa si può aspettare, trasferiamo al cliente o al responsabile finanziario della piccola impresa, nel tempo, anche la cultura finanziaria necessaria. Il valore aggiunto di una consulenza finanziaria può essere molto grande, sia nell’affrontare problematiche contingenti sia guardando al futuro. Quello che facciamo è misurabile. Il cliente può così giudicare e valutare professionalità e costi/benefici.
Quanto costa rivolgersi a un mediatore finanziario e qual è il livello minimo in cui è necessario che un’azienda media si rivolga a un mediatore finanziario?
Non c’è un livello minimo. Se parliamo di aziende che fatturano almeno due milioni e mezzo è un costo sostenibile, se parliamo sotto i due milioni e mezzo è un investimento per essere autonomi nel rapporto con il mondo finanziario. Nell’azienda che fattura da 100mila a 250.000 è un investimento che l’azienda dovrebbe fare almeno una volta per definire i suoi rapporti con le banche.
Indicativamente con che costi?
Parliamo di 3mila euro fino a 25.000 anno, una cifra abbordabile e, soprattutto, un investimento che nel tempo rende moltissimo. La finanza, infatti, rappresenta un segnale importante per l’imprenditore, ma spesso il suo problema non è finanziario. L’allarme finanziario spesso spiega al cliente situazioni su cui operare. Prendiamo un esempio. In Italia, la gestione del marchio non esiste ma invece è un asset importante. Alcune aziende riconosciute da tempo sul territorio per quel nome, talvolta, non lo hanno registrato, mentre a livello anglosassone i marchi sono molto valorizzati. Con conseguente riscontro positivo sulla patrimonializzazione dell’azienda. Trasferire queste informazioni al piccolo cliente può essere determinante per ottenere un credito.
Ci vuole tempo però…
Certamente, ma chi promette risultati immediati sta barando. Per fare le cose correttamente e capire punti di forza e debolezza ci vuole un lavoro che implica mesi di attività, a seconda della situazione di partenza. Richiedere un finanziamento senza essere pronti, a volte, significa non ottenerlo e pregiudicarne altri.
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