di Tobia Bondesan
SIENA. Tutto esaurito, ieri (8 ottobre), al teatro dei Rinnovati per Stefano Bollani. Di fronte a un teatro gremito di gente di tutte le età il pianista milanese stupisce per il suo virtuoso eclettismo.
Dopo la collaborazione con i grandi nomi del jazz, come Lee Konitz, Pat Metheny, Michel Portal, Paolo Fresu, Enrico Rava, Richard Galliano, Chick Corea, Han Bennink e Phil Woods adesso si presenta in teatro da solo: lui e il pianoforte.
Si siede e scalda subito l'atmosfera. In tutti i sensi: dopo il primo brano è già senza giacca e rivolgendosi al pubblico in quel suo tipico atteggiamento informale dice che, nonostante la sua promessa di mantenere l' ”uniforme” almeno fino al terzo brano è troppo caldo: i pianisti classici sudano molto.
Il pianista dialoga brevemente con il pubblico, parla della sua esperienza nel mondo classico (“ho suonato per tanto tempo al conservatorio…ma non mi hanno aperto!”), del repertorio, poi lancia la giacca oltre le quinte e riprende a suonare.
Il concerto, che ha aperto le danze per il festival contemporaneamente barocco, si è rifatto alla musica di Henry Purcell, riassunta nella sua opera del 1689 “Dido and Aeneas”: il progetto del festival di avvicinare musica e opere del XVII secolo alla contemporaneità sembra adattarsi all'eclettico pianista che danza, sul filo del rasoio, tra classica e jazz.
Nel suo essere alla mano, comunicativo e divertente (anche solo da vedere) Bollani nasconde una tecnica pianistica incredibile e un gusto più che piacevole per il gioco musicale, per la citazione e il pluristilismo: ed è appunto questo esercizio di stile che porta il compositore e pianista jazz ad eseguire composizioni barocche che si smontano pian piano, cedendo sempre di più alla tentazione della musica del novecento e poi si riprendono, tornando ad una cadenza seicentesca, in un gioco di armonie che, dal barocco al jazz, ci seducono, tra brusche frenate e larghe virate Stefano ci guida tra i secoli che separano queste due esperienze musicali sì lontane, ma non poi così tanto quanto può sembrare.
Bollani si scioglie, si contorce, si avvinghia al pianoforte, per staccarsene solo per un breve inchino con le mani giunte alla fine di ogni pezzo, sotto scrosci di applausi. Ed è così che da Purcell passiamo ad i tempi morbidi di una ballad, che accenna a “my funny Valentine”, oppure ad una bossa nova, a un valzer, a un jazz-funk, a citazioni esplicite dei Beatles.
La melodia dell'opera barocca riemerge lontana tra gli accordi dissonanti del modern jazz, oppure ritorna il basso continuo e variato, barocco, sotto la moderna concezione armonica di quella che sembra l'accenno di una ballad. Il pianoforte, strumento armonico, melodico, ritmico, che geme nella creazione di oggi e di ieri.
Sembra che questo viaggio tra gli stili e “sullo” stile, mai ben definito, ma presente, sia anche la trasformazione, prima del suicidio finale, dello stato d’animo della regina di Cartagine: ritrosa in principio, Didone si era finalmente concessa ad Enea, per poi gonfiarsi d’ira, reagendo disperatamente al fato avverso. Amante delusa, la regina si abbandona al destino di una eroina tragica, che giganteggia di fronte alla viltà di Enea.
Per chi si aspettava un concerto classico o un concerto jazz è stata sicuramente una sorpresa ritrovarsi sospesi in un mondo a metà, che ha aperto con il primo atto di Purcell ed è finito con un ragtime a velocità massima.