Subsidiarity day
di Silvana Biasutti
SIENA. Stavo giusto pensando a quanto è dolorosa e drammatica questa estate, quando il grottesco ha fatto irruzione (senza burkini) in veste di pseudo – campagna pubblicitaria; ‘pseudo’, perché non mi pare che ciò che è stato titolato in inglese corrisponda a una vera azione pubblicitaria – studiata e pianificata a regola d’arte (cioè professionalmente – .
Mi riferisco a quella ‘roba’ che sembra piuttosto partorita (!) in un dormiveglia tormentato da ansie da prestazione e cattiva digestione: il fertility day, che a me ha subito ricordato gli anni giovanili, quando le coppie cattoliche erano invitate “a farlo” nei giorni fertili, per mettere al mondo figli e solo in seguito c’è stata una piccola apertura: si poteva “non farlo” negli stessi fatidici giorni, senza commettere peccato e c’era anche un libro che spiegava come essere certi della fertility di certi day(s).
Insomma, dopo i francesi che si sono resi ridicoli proibendo il famigerato burkini (che molti politici non hanno ancora capito che cosa sia), un ministro (‘ministra’, mi suggeriscono) della Repubblica Italiana si infila tra le gambe dei cittadini promuovendo il risveglio dei sensi (sbagliando anche stagione: se risveglio dev’essere, sarà in primavera, lo dice Madre Natura, ohibò).
Stamattina ascoltavo Radio3Rai, dove un esperto di comunicazione parlava di ‘buona idea espressa male’. A me è venuto da pensare che questa è un’idea – né buona né cattiva – molto intrusiva, che, se fosse un prodotto da vendere o un servizio da offrire, sarebbe stata quantomeno sottoposta a una ricerca, per capire che effetto poteva fare, come avrebbe potuto essere accolta dal pubblico in target (oso l’inglese, anch’io).
Ma sull’uso dell’inglese, come se in italiano mancassero le parole adatte, magari pensando di fare colpo o forse perché i membri (oddio!) di questo governo in casa si esprimono così (“it is not my cup of tea”) possiamo sorvolare, mentre è inaccettabile che un ministro (o ministra che dir si voglia) abbia approvato una campagna pubblicitaria con dei claim (!) e dei visual (!!) così datati, che non avrebbero convinto nemmeno mia nonna.
Concludo queste righe indispettite sottolineando che anche una campagna pubblicitaria va studiata e realizzata a regola d’arte, perché costa (in questo caso denaro dei contribuenti), perché deve produrre risultati (contrariamente a questa campagna) altrimenti sono denari sottratti ai contribuenti, e perché gli obiettivi devono essere condivisi. Perché la prima regola della comunicazione dice che “un messaggio funziona solo se il contesto in cui esso viene comunicato è propenso ad accoglierlo” (cioè, per esempio, è inutile proporre cosce di pollo ai vegani).
Infatti è inutile proporre di fare figli a una popolazione di giovani la cui fertilità potenziale si scontra, in generale, con la mancanza di sicurezze, e nello specifico con la totale assenza di attenzione – da parte dei governi, da decenni a questa parte – alle donne, alla famiglia, ai servizi (nidi, materne, tempo pieno, fiscalità).
Questi sono solo alcuni dei punti che hanno fatto imbestialire sia i potenziali utenti di questa assurda campagna, ma anche i vecchi nonni che hanno la fortuna di essere in buona salute e di riuscire a surrogare l’inesistenza delle politiche per la famiglia, facendo più che i nonni il surrogato di tutto ciò che manca (a cominciare dalle politiche fiscali).
Infine chiedo: ma è possibile che una donna – divenuta ministro – sia così disattenta e insensibile nei confronti della vita dura complicata a cui sono costrette oggi le altre donne, da dare il via a un messaggio così corrivo?!