Sospesi dal servizio il comandate e i vice comandante della polizia provinciale
SIENA. I cacciatori, quelli che, per tradizione familiare battevano le zone della Valdichiana, lo sapevano da tempo. Adesso, l’indagine della Magistratura sta facendo luce su comportamenti scorretti da parte di alcuni funzionari dell’Amministrazione provinciale di Siena.
29 le persone indagate e cinque misure restrittive sono state richieste al Gip Francesco Bagnai per una inchesta riguardante abbattimenti illeciti di cinghiali, daini, cervi in aree protette quali Lucciolabella, Crete dell’Orcia, Formone tutti nel comune di Pienza, Alta val di Merse e Basso Merse nei comuni di Sovicille e Monticiano. L’ufficio caccia della provincia di Siena appare “decimato” sotto l’inchiesta eseguita dal pm Nicola Marini.
Sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio per il comandante della polizia provinciale Marco Ceccanti (prima vice comandante) e per il suo vice Carlo Terzuoli (prima responsabile di zona): sono gli unici due provvedimenti che il Gip ha deciso di accogliere rispetto ai cinque richiesti dal magistrato all’interno di una indagine ampia nel tempo e per numero di persone coinvolte: ben sei anni sono stati analizzati dai carabinieri e dalla Guardia di Finanza. Dal 2004 al 2010 coloro che dovevano garantire un comportamento corretto ed un rispetto delle regole nello sfruttamento del territorio provinciale, secondo l’accusa, sarebbero responsabili di comportamenti illeciti e di un uso provatistico del territorio e della ricchezza faunistica in esso contenuta. Abuso di ufficio, falso e peculato, i reati di cui dovranno rispondere gli indagati ma anche contravvenzioni legate alla mancanza di rispetto delle rigide norme della caccia.
Il Gip, nell’ordinanza emessa esamina i fatti emersi dalle indagini che mostrano come gli indagati abbiano, sempre secondo l’accusa, agito in modo privatistico nei confronti della cosa pubblica. A caccia nelle riserve naturali, anche di notte, con mezzi della Provincia ma anche con mezzi propri, con fari che illuminavano il bosco, sparando dal mezzo in movimento. Un comportamento che si estendeva e veniva consentito anche ad eventuali “ospiti” che potevano essere amici degli indagati o anche funzionari della Regione. Tutto questo, nelle aree protette non è consentito. Gli abbatimenti, oltre che strettamente riservati alla polizia provinciale non possono essere effettuati con le cosiddette “braccate” ma solo con un cane al guinzaglio e seguendo sentieri tracciati e non “nella macchia”. Per questa ragione il Gip ha ritenuto di poter considerare queste presunte operazioni di abbattimento come delle vere e proprie battute di caccia fatte per diletto, in quanto “non seriamente giustificate da nessuna esigenza”.
Le “operazione di abbattimento” sarebbero state “giustificate” anche da dichiarazioni mendaci di proprietari di terreni atigui o interni alle zone protette che dichiaravano, in accordo con la polizia provinciale, danni mai ricevuti dagli ungulati. Questo permetteva di “regalare” i capi abbattuti a mo’ di risarcimento. In realtà, sostiene l’accusa, gli animali abbattuti durante le “braccate” venivano equamente divisi tra proprietari terrieri, polizia provinciale, ospiti e amici. Con un danno all’amministrazione provinciale legato alla perdita dei capi (che avrebbero dovuto essere venduti a vantaggio della Provincia) e al risarcimento danni dato in seguito alle presunte dichiarazioni mendaci.
Anche il posizionamento di 5 gabbie di cattura nelle riserve naturali di Lucciolabella e del lago di Montepulciano è ritenuto dal Gip un “abuso di potere” in quanto non “esistevano i presupposti”. Oltre un centinaio i capi abbattuti la cui metodica, opportunità e “fine” sono contestati agli indiziati.
La lunga indagine che avrebbe fatto emergere comportamenti illeciti di pubblici ufficiali è stata portata avanti da carabinieri e fiamme gialle anche attraverso una lenta operazione di intercettazioni telefoniche. E’ proprio dalle conversazioni intercettate che il giudice ha maturato l’opinione secondo la quale gli indagati fossero perfettamente consapevoli di contravvenire a delle regole; che fossero coscienti di operare contro quella legge che, invece, avrebbero dovuto rispettare e far rispettare; che i loro comportamenti non sarebbero stati occasionali ma reiterati ed infine che, al momento delle indagini abbiano cercato di depistare le forze dell’ordine.
“La ripetitività delle condotte rende indispensabile l’adozione di una misura cautelare che impedisca agli indagati di continuare a gestire la propria funzione come se fosse una cosa privata”. Da qui la decisione del Gip che spiega così la ragione della misura interdittiva ritenuta indispensabile per “riportare un minimo di legalità all’amministrazione interessata”.