Aurigi parla del rischio che corre la nostra democrazia
di Mauro Aurigi
SIENA. Questa carta geografica è stata pubblicata dalla rivista Focus. Mi serve per spiegare a quale livello è ormai scesa la cultura politica italiana, e quali rischi corriamo per tale fenomeno.
I NORD-EUROPEI SONO PIU’ INTELLIGENTI DI NOI? E GLI ITALIANI DEL NORD SONO PIU’ INTELLIGENTI DI QUELLI DEL SUD?
Nella carta sono indicati in verde scuro i paesi dove si vive meglio, ossia i più colti e prosperi, e in rosso acceso quelli in cui si vive peggio, ossia i più arretrati e poveri. Tra i due estremi, sfocando i colori, si collocano i paesi in condizioni intermedie (per le aree con colore neutro mancano dati: verosimilmente sono i peggiori del pianeta). Come al solito, quando si tratta di graduatorie relative ai livelli di civiltà quali noi li intendiamo, anche in questo caso la parte del leone la fanno i paesi scandinavi, accompagnati o seguiti da quelli anglosassoni. Intendiamoci bene, questa è una regola senza eccezioni: quelle classifiche sono sempre capeggiate dai paesi a cultura nord-europea anche se stanno agli antipodi come la Nuova Zelanda. Ma mai che vengano spiegate le cause di questo fenomeno. Per cui è come se si certificasse tacitamente una superiorità razziale di quelle popolazioni, tanto che si può parlare tranquillamente di un nostro diffuso e magari inconsapevole complesso di inferiorità. D’altra parte non c’è da meravigliarsi: lo stesso fenomeno è presente all’interno del nostro Paese, ancora diviso dopo quasi due secoli di unità nazionale, tra nord e sud. Ma la motivazione razziale è la più idiota che si possa ipotizzare. Perché fino a 500 anni fa la situazione era rovesciata: l’Italia, almeno quella del centro-nord, grazie all’esperienza comunale era il vertice mondiale della civiltà, mentre le popolazioni nordiche, che ora sono il vertice civile del pianeta, allora stazionavano ai margini della cultura europea. E il Meridione d’Italia fino al Duecento era di gran lunga più avanzato del Settentrione (Napoli e Palermo erano le città più importanti d’Europa). Cinque secoli fa gli Italiani erano più intelligenti degli Scandinavi e otto secoli fa i Meridionali erano più intelligenti dei Settentrionali ed ora la situazione si è rovesciata? Certo che no: 5 o 8 secoli (ma anche 5 o 8 millenni) non possono indurre alcuna significativa variazione nel patrimonio genetico della nostra specie. Ovviamente quel fenomeno è determinato da altre cause, anzi da una sola che però i nostri commentatori evitano di citare (sempre ammesso che l’abbiano capito): i diversi livelli di democrazia. Senza contare quelli che la democrazia la tirano in ballo, sì, ma come effetto della ricchezza, un lusso insomma da paesi ricchi: semplicemente scambiano la causa per l’effetto che non è il massimo in fatto di intelligenza.
Per spiegarmi devo fare una necessaria premessa.
DEMOCRAZIA = RICCHEZZA = CULTURA = ARTI E SCIENZA
Noi siamo portati a pensare che nel nostro pianeta la democrazia sia la normalità e il dispotismo e la dittatura siano l’eccezione. Ma è vero esattamente il contrario: grosso modo solo il 20% della popolazione mondiale vive in regimi più o meno democratici (l’Occidente o Primo Mondo), mentre l’80% vive sotto regimi più o meno dispotici (il Secondo, Terzo e Quarto Mondo). Siamo anche portati a pensare che i valori della democrazia siano di tipo squisitamente estetico: la giustizia, l’uguaglianza, la dignità ecc., mentre invece la democrazia è anche portatrice di valori molto più materiali e tangibili, come la produzione di ricchezza, dalla quale discende la cultura (i poveri sono ignoranti), che a sua volta produce arti e scienze. E non si tratta di teoria. Il solco che, nel bene o nel male, divide l’Occidente dal resto del mondo ha una sola esclusiva ragione: i livelli di democrazia (e quindi di giustizia, uguaglianza, dignità, ma anche di prosperità in senso lato: in una parola, di civiltà), adottati in Occidente che invece sono carenti se non assenti del tutto nel resto del pianeta. Ma anche all’interno dell’Occidente esiste la stessa spaccatura: da una parte i paesi, come si è visto sopra, a cultura nord-europea, notoriamente a democrazia più matura (su questo spero non ci siano obiezioni) e quindi più evoluti e prosperi, dall’altra quelli a cultura sud-europea, il nostro compreso, per i quali, all’interno della UE in occasione dell’attuale crisi economica ci si è divertiti a coniare una sigla sferzante ma assai eloquente: PIGS (porci: Portogallo, Italia, Grecia, Spagna). Se si vuole una dimostrazione “oscena” (nel senso etimologico del termine, ossia fuori dalla scena) di quanto affermato, si pensi alle isole delle Antille. Sono tutte abitate e governate dai discendenti degli stessi schiavi africani, ma non c’è paragone possibile tra le ex colonie inglesi (vedi le Barbados e la Giamaica a democrazia più stabile) e quelle francesi e spagnole (vedi Haiti o Portorico a democrazia evanescente).
RENZI COME CRAXI, BERLUSCONI E D’ALEMA: UN UOMO SOLO AL COMANDO
Dunque è inoppugnabile che sia esclusivamente la democrazia (la sovranità popolare, la volontà che sale dal basso, i governanti controllati dai governati, il potere politico diffuso orizzontalmente nella società civile e non concentrato nelle mani di uno solo o di pochi, ecc.) che fa la differenza. E l’ha fatta, come è facile vedere, anche e soprattutto in occasione della crisi economica che ancora investe l’Occidente.
Ma veniamo al perché del titolo che ho dato a questo mio intervento.
Oramai è certo che l’ambizione non celata del primo ministro Renzi è la realizzazione di un assetto politico nazionale tendente a “un uomo solo al comando”, soprattutto se quell’ “uomo solo” sarà lui. Ha avuto però eccellenti predecessori come Berlusconi, Napolitano e D’Alema, tanto per citare i maggiori, tutti concordi sulla necessità di trasferire “maggiori poteri all’esecutivo”, che non è eletto dal popolo, sottraendoli ovviamente al Parlamento dove invece siedono gli eletti del popolo (chissà quante volte i 556 Padri costituenti si saranno rigirati nelle loro tombe). Ma sono in molti oramai ad avere un simile orientamento, anche e soprattutto nell’opinione pubblica. Il “decisionismo” per favorire la “governabilità” del Paese d’altra parte era già tornato di moda, dopo il ventennio fascista, con l’arrivo al potere di Craxi negli anni ’80. Immancabilmente è da allora che il Paese è entrato in una crisi strisciante con alti e bassi ma sempre tendente all’aggravamento (è vero, il PIL cresceva annualmente, mettiamo, del 2%, ma se i nostri maggiori soci nella UE crescevano del 4%, in realtà noi arretravamo ogni anno del 2%). Quella crisi poi è diventata devastante nel 2008 in pieno decisionismo berlusconiano. Non si sa se l’Italia mai ne uscirà.
LA SALVEZZA STA NELL’ESALTAZIONE DELLA DEMOCRAZIA NON NELLA SUA MORTIFICAZIONE
Certamente se si continua a pensare che meno sono quelli che decidono (per esempio riduzione del numero dei parlamentari e abolizione del Senato, parlamentari nominati dai partiti, riduzione dei poteri del Parlamento a favore di quelli del governo o, peggio, tutto il potere nelle mani di uno che già è contemporaneamente capo del partito e capo del governo come Breshniev, ecc.), si va a un restringimento della democrazia, mentre è ovviamente vero il contrario (più sono quelli chiamati a decidere e più si elevano i livelli di democraticità). Nel primo caso si continuerà ad arretrare verso la fascia dei paesi contraddistinti, sulla cartina da cui abbiamo preso le mosse, dal colore rosso acceso. Solo nel secondo caso si può sperare di invertire quella tendenza e cominciare a sperare di vedere la Penisola colorata di verde intenso. Ma questo non succederà. Non può succedere perché in questo Paese i primi a ignorare lo scenario che ho cercato di delineare sopra, non sono solo i politici di qualsiasi colore e tendenza, ma anche e soprattutto gli intellettuali, i commentatori, gli accademici, insomma i formatori dell’opinione pubblica, che ormai perfino evitano accuratamente anche solo di citare il termine “democrazia”, che infatti è scomparso dal linguaggio quotidiano anche degli addetti ai lavori.
Grazie alla Costituzione del 1948 (il governo, ossia l’esecutivo fu rigorosamente tenuto fuori dalla sua stesura, ora invece è il governo che la modifica!) quella parola fino agli anni ’70 del secolo scorso era sulla bocca di tutti, spesso anche a sproposito – ma ci si credeva! – e l’Italia, già paese arretrato e distrutto da un regime e una guerra devastanti, diventò la quarta o quinta potenza economica del mondo (superata perfino l’Inghilterra!) e per ben due anni la “liretta” ebbe l’Oscar della moneta più solida del pianeta.
Ce n’è più che abbastanza per capire che la salvezza sta nell’aumento dei livelli di democrazia, mentre la diminuzione di quei livelli (vedi la nuova legge elettorale renziana e soprattutto la modifica pure renziana della Costituzione, ma non è che l’inizio) ci porterà al disastro, oltre il punto del non ritorno. E ce n’è più che abbastanza per giustificare il titolo dato a questo mio intervento. Ci si allinea ai paesi “più avanzati”, come li definisce lo stesso Renzi, aumentando i livelli di democrazia non riducendoli come invece fa lui. Ho pensato inizialmente che Renzi, da quel provinciale incolto che è, sbagliasse ma che fosse in buona fede. Ora so che ha una smisurata e cinica ambizione di potere. Come tutti i despoti ci porterà alla rovina pur di soddisfare questa sua personalissima, insana passione. E’ già successo con Mussolini neanche un secolo fa, ma ce ne siamo dimenticati.
