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ROMA. (p. d.) La crisi che attanaglia il nostro paese ormai da anni colpisce ancora e miete un’altra vittima. Questa volta è toccato al Gruppo Sisa, catena di supermercati nata dall’idea di piccoli commercianti di unirsi in una società che facesse acquisti comuni, progetto recentemente crollato dopo quarant’anni di attività sotto i colpi della recessione e calo dei consumi.
Ripercorriamo le fasi critiche e i momenti di difficoltà che hanno portato il Gruppo Sisa al fallimento nonostante i disperati tentativi di evitare il peggio, e cerchiamo di analizzare quali saranno le ripercussioni sui supermercati affiliati e le conseguenze per tutti i dipendenti e impiegati.
La catena navigava da tempo in acque molto torbide. I problemi erano iniziati già nel 2014, quando il deposito Cedi Sisa Centro Nord di Mosciano, piattaforma che riforniva molti supermercati nelle provincie vicine, si era visto costretto ad un ridimensionamento a causa di un calo nell’attività, con ben 43 lavoratori licenziati e messi in mobilità. Non riuscendo a sopperire ai costi, l’azienda aveva deciso di spostare i prodotti a lunga rotazione in altri stabilimenti, abbandonando il deposito di Mosciano nelle mani della cooperativa laziale Loginet, in grado di riassorbire solo una ventina fra i preparatori, carrellisti e addetti merci licenziati.
Questo era stato solo l’accenno di quello che sarebbe diventato il dramma dei mesi successivi. Il crollo del fatturato, di oltre 100 milioni in negativo rispetto al biennio precedente, aveva portato alla riorganizzazione anche di altre piattaforme logistiche oltre a quella di Mosciano, cedendo a terzi anche il deposito di Santa Palomba e di Ancarano. Nel caso di quest’ultimo, anche i soci di Cedi Sisa Centro Sud erano intervenuti a mettere una pezza, per ritardare l’inevitabile implosione del gruppo. La situazione finanziaria è rimasta costantemente negativa, richiedendo provvedimenti più drastici.
Il collegio sindacale aveva preso coscienza della gravità della situazione in cui verteva il bilancio Sisa a fine 2014, e aveva accettato di firmare la continuità aziendale solo sotto la promessa di importanti finanziamenti erogati dalle banche a medio termine da rimborsare con i premi dei fornitori, puntando ad un aumento di capitale di 10 milioni. Il cambio di presidenza all’inizio dello scorso anno, con il passaggio di testimone da Sergio Cassingena, da 25 anni a capo del gruppo, a Franco Gobetti, era stato un altro segnale infausto.
Nel luglio 2015, Cedi Sisa Centro Nord aveva presentato istanza di ammissione alle procedure di concordato preventivo di bilancio nel tribunale fallimentare di Vicenza, insieme a Sigma Sardegna, coinvolta nelle stesse problematiche che attanagliano la grande distribuzione commerciale. Le continuate difficoltà economiche avevano spinto l’amministratore di Cedi Sisa Centro Nord a ricorrere al concordato di bilancio per mettere sotto protezione il patrimonio e cercare di tutelare la continuità dell’azienda e i buoni rapporti nei confronti di dipendenti, fornitori e creditori.
In un tentativo disperato di mantenere i propri impegni e valore di mercato, il gruppo aveva intrapreso una nuova pianificazione industriale. Purtroppo, neanche il piano industriale redatto dalla compagnia Ernst&Young ha permesso a Sisa di rimettere in piedi il proprio business. Il buco di bilancio e i debiti verso creditori, fornitori e banche, per un totale di oltre 18 milioni, erano risultati troppo grandi perché il gruppo potesse sanarli. L’inasprirsi dei problemi era di nuovo passato per Mosciano e Ancarano, e le loro piattaforme di distribuzione. La riorganizzazione non era più abbastanza per contenere i costi, e si rendeva necessaria la chiusura totale di entrambe le strutture lo scorso novembre 2015, mettendo in cassa integrazione e in mobilità anche la manciata di dipendenti risparmiati dalla ridistribuzione dell’anno precedente.
L’incontro fra azienda e sindacati aveva concordato anche l’ineluttabilità della successiva chiusura della piattaforma di Pomezia. La situazione, resa complessa dai crediti che l’azienda non riusciva a riscuotere, e dalla mancata risposta all’ennesimo piano concordato, era sfociata nella riunione presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e nell’udienza prefallimentare di fine novembre presso il tribunale di Vicenza, facendo presagire il rischio di licenziamento di massa e cessione dell’attività che si è poi concretizzato.
Il crac del Cedi Sisa Centro Nord ha messo e mette a rischio il futuro di oltre 300 dipendenti, per molti dei quali è già scattata la cassa integrazione speciale per crisi aziendale e chiusura attività. Nessuna possibilità che la situazione migliori, e anche le ultime decine di dipendenti attendono l’imminente licenziamento mentre si concorda la liquidazione dell’azienda. Nelle ultime settimane la crisi si è espansa a macchia d’olio fino al Cedi Sisa Sicilia, gruppo di rifornimento per la Sicilia occidentale, che pure adesso sull’orlo del fallimento dichiara il licenziamento di oltre 113 dipendenti, per mantenere solo i 27 necessari alla vendita e smaltimento della merce residua in magazzino. L’ulteriore crisi aziendale è dovuta alla fuga di fornitori e associati verso altre strutture.
La disperazione e amarezza dei dipendenti, fra cui molti padri di famiglia che lavoravano da molti anni per il gruppo e ora si vedono abbandonati senza certezze, è forte, così come il generale senso di incomprensione. Cosa ha portato un’azienda di prima qualità, con merci eccellenti e pagamenti in ordine, a ridursi al fallimento? Fra le supposizioni che non troveranno conferma c’è un calo di fedeltà negli acquisti che ha portato all’allontanamento di soci e somministratori. Il numero degli ordini è diminuito progressivamente, così come la quantità di merce sugli scaffali, riportano le testimonianze dei dipendenti increduli, che fino all’ultimo momento avevano sperato in una ripresa del gruppo, e ora chiedono che venga fatta chiarezza e individuato chi ha delle responsabilità. Queste storie che continuano a ripetersi, infatti, con chiusura di strutture e la progressiva scomparsa dei centri di distribuzione nel territorio, genera ulteriore crisi e disoccupazione in un circolo di negatività che non sembra riuscire ad invertirsi, e necessita di individuare delle responsabilità aziendali per cambiare rotta.
Adesso, i negozi e supermercati affiliati a Sisa dovranno cercare di affidarsi a nuovi gruppi per restare in vita, appena altri gruppi si dichiareranno disponibili a rilevarli e rilanciarli, in una lotta per il futuro che sembra più una lotta stremata per la sopravvivenza del più forte.
Il signor Conigliaro, titolare della catena di supermercati palermitani omonima, ci ha raccontato la difficile situazione vissuta da loro e da tanti altri affiliati al gruppo Sisa e gli sforzi e sacrifici che sono stati necessari per preservare il servizio alla clientela senza far trapelare le problematiche che erano in corso. I Supermercati Conigliaro sono stati anche tra i primi a reagire alla crisi del gruppo SISA cercando e trovando la nuova catena a cui affidarsi e con la quale far proseguire il loro progetto di servizio di Spesa Online lanciato la scorsa estate.