di Fabrizio Pinzuti
ABBADIA SAN SALVATORE. Al di là dei singoli contributi, alcuni dei quali di notevole interesse e oggetto di prossima pubblicazione, nel convegno sulla cosiddetta “buona geotermia” svoltosi il 29 e 30 gennaio, la cultura e la mentalità postindustriali, che hanno messo le radici anche in alcuni paesi dell’Amiata Senese, hanno fatto, a mio parere, il peggiore sfoggio di sé.
Non mi riferisco agli imbonitori “venditori di pentole geotermiche”, camuffati da tecnologi e da scienziati, che si presentano come annunciatori e portatori del nuovo Verbo della geotermia. La loro presenza era scontata, anche se criptata; anzi forse i veri attori si sono ben guardati dal partecipare al convegno, spedendoci tutt’al più qualche loro osservatore. Non voglio fare gratuita dietrologia; evidenti – ed emerse anche nel convegno stesso – sono le “regalie”, spacciate per incentivi, concesse a un certo tipo di geotermia che spiegano tutto l’interesse sviluppatosi in questi ultimi tempi per tale attività. Sembrerebbero deporre in tal senso anche le resistenze, o quanto i meno i ritardi, talvolta giustificati come “approfondimenti tecnici”, esercitate dalle lobbys in sede politica, alla revisione dell’attuale normativa in materia di geotermia, nonostante una risoluzione parlamentare che impegnava il Governo a modificarla entro sei mesi dalla sua approvazione, avvenuta il 15 aprile 2015.
Il riferimento più specifico è a quella cultura, o sub cultura, che ancora crede, più o meno convintamente o interessatamente, alla positività del progresso e della tecnologia, indipendentemente da chi li gestisce o da come vengono gestiti. Invece, a mio parere, i motivi di ripensamento, da queste parti, fioccano a iosa e mi chiedo: perché in Amiata si continua a delegare ad altri e a esterni i compiti di guida e di propulsione economica e sociale? Perché non porta ancora a maggiore prudenza l’esperienza della monocultura invasiva dell’attività mineraria, sembrata arrivare come manna dal cielo, ma in realtà dedita all’attività di saccheggio delle risorse locali e puntualmente dileguatasi quando il business ha cominciato ad avere il fiato corto? Perché non costituiscono spunto di riflessione tutti i progetti, sistematicamente naufragati, noti come “Amiata”, della Regione, dell’Eni, di riconversione dell’attività mineraria, redatti da altri ed affidati nella loro realizzazione e gestione ad altri, esterni e lontani dalla nostra realtà? Continua a non dire niente, che di tutti progetti di industrializzazione della Valle Del Paglia, i pochi, se non gli unici, a salvarsi dall’universale naufragio siano stati quelli realizzati, come la pelletteria e l’industria del mobile, da imprenditori locali? Si può ragionevolmente pensare che la geotermia, anche se a ciclo binario e di potenza limitata, possa restituire linfa ed energia a quelle zone industriali dismesse e ridotte a ferri vecchi, e costituisca anzi un volano per nuove attività, che magari non hanno niente a che vedere con le risorse e le potenzialità dei nostri luoghi? Non per sembrare filosofo, ma queste operazioni mi appaiono come quello che Friedrich Nietzsche, in Aurora, definì “un gioco di ingannatori degli altri e di se stessi”, aggiungo non sempre volutamente e consapevolmente. Concludo con un rimando, molto più pertinente a mio giudizio, alla lettera enciclica di papa Francesco “Laudato si’” sulla cura della casa comune, capitolo quinto, paragrafi III (Dialogo e trasparenza nei processi decisionali) e IV (Politica ed economia in dialogo per la pienezza umana), articoli 182-198, che sembrano scritti proprio per illuminare l’argomento qui trattato.