Un economista giovanissimo ci rinfresca la memoria sul senso delle banche per il denaro
di Silvana Biasutti
SIENA. “Quando ero piccolino chiesi a mio padre qualche lira per acquistare delle caramelle. Sapevo che per averle mi occorreva del denaro. … Del denaro non sapevo ancora molto. … Mia madre mi diceva di averne cura perché il denaro era sudato e aveva valore, ma non sapevo nient’altro.” Questo è l’incipit di L’Uomo e il Denaro, sottotitolo “alla ricerca della verità”, scritto da un economista siciliano – molto giovane e curioso – che ci offre un’analisi utile (soprattutto in questi giorni?) per risalire alle origini degli strani tempi in cui navighiamo e per tentare di capire l’ottovolante della finanza.
Un incipit che mi ha riportato all’infanzia e al senso – profondamente diverso – che il denaro ha avuto per noi a quel tempo.
Ma continuando a leggere non ho avuto, nemmeno per una frazione di secondo, timore di annoiarmi: la storia moderna del denaro è piena di colpi di scena, magari passati sotto silenzio o travestiti da eventi normali e sarà necessario che me ne annoti qualcuno, per capire come siamo arrivati ad avere questo vissuto delle banche e questa percezione di profonda sfiducia …
Sempre nell’introduzione, Fabiuccio Maggiore (è il nome di questo enfant terrible dell’economia) scrive dei suoi anni all’università di Pavia. “Un professore sosteneva che liberalizzare e privatizzare migliorasse il mercato, la concorrenza, e così via. Un altro ancora sosteneva che automatizzare il lavoro fosse più efficiente, ma per chi? Ovvio, per l’imprenditore che introducendo la cassa automatica risparmiava sul costo del personale e non certo per la cassiera, che oggi era una nuova disoccupata.”.
E poi “Nel nuovo millennio l’arte del rubare era raffinata. I ladri non ti dicevano che stavano rubando i gioielli di famiglia, ma ti chiedevano di liberalizzare e privatizzare le tue risorse. Venivamo così privati del privato. Madre di tutte le privatizzazioni la moneta, così privata da vedere comparire nella banconota euro una “c” del copyright di chiaro diritto privato …”.
FM prosegue smantellando l’edificio mentale fatto di dogmi dati per acquisiti (almeno dalla sottoscritta) e di certezze, che pure già vacillano sotto i colpi di ciò che si può leggere sui quotidiani in questi giorni.
Descrive la differenza tra “corso legale” e “corso forzoso” della moneta e dà alcune notizie sorprendenti per noi che non abbiamo fatto i corsi di formazione ventilati da Alesina sul Corriere della Sera, poco tempo fa. Per esempio, lo sapevate che “Nel 1861 il 75% dei mezzi di pagamento era rappresentato dalla moneta metallica, nel 1871 la massa monetaria metallica era scesa al 25% (in soli dieci anni!), la moneta cartacea era al 51% e quella scritturale (creata con i prestiti bancari) al 28%? Oggi la moneta cartacea e metallica rappresenta il 4-5% e tutto il resto della massa monetaria è una moneta bancaria chiamata in inglese ‘non money’, poiché equivale a un surrogato (derivato) di denaro. … Che cosa sta circolando oggi? Segni di debito delle banche commerciali in forma di impulsi elettronici trasferiti da un pc ad un altro, creati da istituti finanziari privati, dentro il mondo della finanza dove la speculazione e la scommessa hanno distrutto il lavoro e l’economia reale.”.
Insomma, una lettura appassionante, piena di notizie, come quella che afferma che “se tutti noi andassimo in banca a prendere il ‘nostro’ (si fa per dire) denaro, le banche non lo avrebbero.”
E così via, raccontando dei presidenti Usa – da Franklin a Kennedy – e le loro ordinanze, della creazione della FED, cent’anni fa, e cosa questo abbia significato. Poi è la volta del debito pubblico: sapevate che esso, nel 1981 era al 57,7%, e nel 1994 era cresciuto al 124,3%?
Insomma un report esauriente sui tempi moderni della finanza e delle imprese di banche e banchieri, che passa ovviamente anche dai mutui subprime , dalle famigerate banche d’affari americane, Basilea, le agenzie private di rating, la disoccupazione, il signoraggio, la sparizione del lavoro. “Il lavoro in questo sistema perde il suo senso profondo nobilitante … L’obiettivo del lavoro diviene il misero ottenimento del profitto …”
Con l’energia e l’entusiasmo che gli vengono dall’età e dalla passione Fabiuccio Maggiore delinea il controcampo delle scelte di politica economica, ipotizzandone le conseguenze (disastro!) e domandandosi il perché. Confesso che, nonostante il filo di speranza introdotto verso le ultime pagine della sua analisi, alla fine della lettura non si può non aver voglia di bere un cicchetto. Per dimenticare e recuperare l’illusione di un mondo più umano.
Fabiuccio Maggiore – L’Uomo e il Denaro – Edizioni Sì, euro 9,50