di Giulia Tacchetti
SIENA. Dopo l’esperienza di “Beatles submarine” nel 2014, Neri Marcorè ritorna sul palcoscenico dei Rinnovati in “Quello che non ho” (in scena dall’8 al 10 gennaio) con la regia di Giorgio Gallione e la produzione del Teatro dell’Archivolto. Lo spettacolo, ispirandosi liberamente ad un film di Pier Paolo Pasolini del 1963 “La rabbia”, denuncia la modernità senz’anima: gli effetti distruttivi del consumismo e della TV sulla società italiana, il cambiamento del paesaggio sopraffatto dalle discariche e dal cemento , l’inquinamento causa di mutazioni genetiche, la corruzione e la perdita del valore nella politica. Insomma un quadro lucido, beffardo, spietato dei nostri tempi. Alle narrazioni si uniscono le canzoni di Fabrizio De Andrè, sarcastiche ed al contempo poetiche, proprio perché il cantautore e Pasolini sono legati da un comune denominatore: il mancato allineamento alla mentalità dell’epoca e perciò scomodi per le loro idee e denunce. Sono dei provocatori. “Quello che non ho è una camicia bianca/ quello che non ho è un segreto in banca/ quello che non ho sono le tue pistole/ per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole..”, comincia così il brano di De Andrè “Quello che non ho”, riproposto in chiave rock nel 2012 dai Litfiba. Marcorè ama cantare (ha una voce interessante e dal timbro profondo) e recitare. Il pubblico si sta abituando alle sue performance teatrali e fa fatica a riconoscerlo in quelle televisive, un po’ meno in quelle cinematografiche, ma si sa…la notorietà viene soprattutto dal piccolo schermo. Il suo teatro musica richiama quello di Gaber, portato in scena annualmente in Versilia per volontà della moglie, perché il vero artista ha il compito di raccontare il suo tempo, di costruire una visione personale dell’oggi, in cerca di ideali per ricostruire il domani. Il testo , che attinge a piene mani al pensiero pasoliniano, alterna momenti di forte comunicazione, come la speranza nel futuro rappresentata dalla presenza delle lucciole, che non sono sparite (oggi è un disastro, ma possiamo farcela), a momenti da telegiornale televisivo, quando diffonde tutte le sciagure che accadono nel mondo. La ribellione, il sarcasmo, la visionarietà dolente non sono le caratteristiche peculiari di Marcorè, forse per questo la caduta della tensione recitativa, nonostante la sua abilità attoriale. Veramente apprezzabile ed interessante, invece, il tentativo di promuovere un teatro musica, di cui sentiamo la mancanza dopo la morte di Gaber. Le canzoni di De Andrè (Khorakhané, Don Raffaè, Smisurata preghiera) interpretate magistralmente dalle voci e chitarre di Giua, Pietro Guarracino, Vieri Sturlini e da Marcorè strappano calorosi applausi da parte del pubblico accorso numeroso ed alla fine dello spettacolo un coro di “bravo” chiude il sipario.