di Fabrizio Pinzuti
PIANCASTAGNAIO. Tante e tutte nefaste le conseguenze in Amiata dell’attività mineraria durata quasi un secolo. E non si tratta solo degli infortuni e delle malattie professionali (silicosi, broncopneumopatia da silicati e calcare, angioneurosi da strumenti vibranti, ipoacusia da rumore, idrargirismo), contratte dai minatori e dagli addetti all’industria metallurgica, ma anche degli effetti più o meno diretti sulla popolazione, alcuni dei quali avvertiti a distanza, provocati da fumi, polveri, cascami, residui della lavorazione, come i famigerati “rosticci” (scorie di risulta dopo la cottura del cinabro), che hanno sparso il mercurio residuale in vari punti dell’Amiata. Tanto che ancora oggi si insiste sulla necessità di bonifica delle aree minerarie e proprio non si capisce quale cecità politico/amministrativa – pur se mascherata sotto l’orpello del “patto di stabilità” – renda di fatto inutilizzabili i soldi già stanziati per le bonifiche. Eppure nonostante tutto questo, fino agli anni 70 (l’attività mineraria è stata dismessa nel 1976), prima dello sviluppo della geotermia ad alta entalpia in Amiata i dati dell’Agenzia Regionale di Sanità (ARS) evidenziano che alla fine del periodo dell’attività mineraria e metallurgica, la popolazione stava meglio della media toscana.
L’attività geotermica in Amiata è iniziata nei primi anni 60 e i dati ARS a partire dai decenni successivi indicano una media di 2 morti in più al mese, cioè quasi mille morti in 33 anni su una popolazione di 20mila abitanti dei cinque comuni classificati come geotermici (Piancastagnaio, Santa Fiora, Arcidosso, Abbadia San Salvatore, Casteldelpiano). Questo per “soli” 70 MWE di energia prodotta, cioè 1/10 di una centrale a gas. È questo uno dei tanti argomenti trattati dal vulcanologo e geologo Andrea Borgia nell’intervento alla seconda giornata di mobilitazione a Roma della Rete NOGESI (NO alla GEotermia Speculativa e Inquinante) il 5 novembre scorso. Sulla necessità di una diversa lettura dei dati ARS, indipendentemente dalle conclusioni di Borgia, si era insistito anche da parte di alcuni cittadini intervenuti nel dibattito in occasione del convegno svoltosi proprio il giorno prima ad Abbadia San Salvatore, in cui l’ARS aveva presentato l’aggiornamento del monitoraggio ambientale e dello stato di salute dei cittadini residenti nelle aree geotermiche toscane, anticipando: “I nuovi dati sanitari confermano le valutazioni emerse già nelle analisi precedenti. A fronte di segnali di miglioramento, l’area amiatina continua a mostrare un profilo di salute peggiore di quello dei comuni circostanti. Ed è ancora la popolazione maschile a presentare le maggiori debolezze, in particolare per la mortalità generale (+ 6%) e per i tumori (+ 16%). Rispetto al +10% del 2000-2009 si riduce perciò la mortalità generale, ma non quella per tumori (+ 17% nel 2000-2009). Rispetto alle precedenti analisi, si confermano i problemi per le malattie respiratorie, ma si attenuano quelli per le insufficienze renali”.
Quello che ci è sembrato di cogliere nelle parole di Borgia a Roma e negli interventi dei cittadini intervenuti al convegno di Abbadia, è l’esigenza di un cambio di rotta negli studi. “Non più la sola conta dei morti e dei ‘feriti’ – ha detto Velio Arezzini della lista Abbadia Futura -, ma indagini epidemiologiche e ambientali che tengano conto della situazione della salute prima e dopo l’avvio dell’attività geotermica. Siamo nella più grande faggeta d’Europa, non esistono più stabilimenti inquinanti ma qui si continua a morire di tumore più che in altri parti”.
Incrociando le sue parole con quelle di Borgia si può concludere: è un dato di fatto che in Amiata per tumori si muore più che in altre parti da quando è stata avviata la geotermia, i cui effetti possono anche sommarsi a quelli di pregresse attività industriali. E’ un caso o esiste un nesso di casualità? La logica aristotelica, suggerisce Roberto Barocci del Forum Ambientalista, indicherebbe come giusta la seconda ipotesi. Per il momento ci troviamo davanti a un’ARS che continua a raccogliere dati come quelli succitati, ma che ancora non corregge la conclusione che “gli indizi e le prove raccolti evidenziano un quadro epidemiologico nell’area geotermica rassicurante perché simile a quello dei comuni limitrofi non geotermici e a quello regionale”. E anche ammesso che in medicina si debba procedere con i piedi di piombo, alla ricerca della prova provata, non si può comunque essere di appoggio a chi ancora oggi sostiene che “I dati ARS presentati nell’incontro pubblico ad Abbadia San Salvatore continuano ad escludere una correlazione tra geotermia e criticità epidemiologiche. Contemporaneamente i dati ambientali confermano l’ininfluenza delle emissioni delle centrali geotermoelettriche”.
Insomma la mancanza di una correlazione certa si trasforma in una prova di mancanza sicura di relazione. Non si può essere responsabili delle interpretazioni di altri, ma nemmeno va dato ad altri l’esca o l’appiglio per tali interpretazioni.