Impressioni da una visita
di Silvana Biasutti
SIENA. Visitare Expo per gli addetti ai lavori: questa sarebbe, è, davvero un’occasione – anzi un’opportunità – imperdibile per produttori e addetti nei diversi settori dell’agricoltura di altra gamma, cioè di quasi tutta l’agricoltura italiana. (Ho scritto “addetti ai lavori”, pensando che troppo spesso chi produce e si misura con il mercato si trova un po’ tagliato fuori dalle opportunità che arrivano sulla scrivania o meglio, sul campo, mediate dalla politica. Niente di male, ma in tempi in cui la politica amministrativa funziona come leggiamo ogni giorno sui quotidiani, è indispensabile essere più attivi, anche su questi fronti, che paiono meno cogenti con cui invece bisogna fare i conti, per non perdere delle opportunità).
Visitare Expo, dunque, non tanto per ‘esserci stati’, ma per acquisire qualche spunto nuovo, per trovare idee e stimoli . Andarci per studiare l’uso della comunicazione per trattare i temi agricoli, delle manifatture che operano per la trasformazione dei prodotti e li fanno diventare beni a cui sono stati aggiunti ulteriori valori che li aiutano ad andare sul mercato mondiale.
Expo è diventata un ‘caso’ politico; spesso l’hanno ridotta in quell’angolo non solo gli episodi di corruzione che hanno funestato i mesi e gli anni della progettazione e della programmazione, ma anche gli interessi di bottega della maggioranza e dell’opposizione e il turbine dell’informazione che ha soffiato sugli aspetti patologici invece di occuparsi del tema – “nutrire il mondo” – delle sue diverse implicazioni e accezioni e degli svolgimenti eseguiti più o meno felicemente da paesi, dalle realtà anche fatte da singole aziende e/o paesi riuniti in cluster (cioè comparti produttivi mono tematici, come quelli del cacao o del caffè). Questa attenzione (ovvia) a magagne e malefatte penso abbia abbastanza distratto anche i media dal tema con cui è partito il progetto. È un tema ambizioso e difficile da rappresentare nella sua profondità e cogliendo tutte le implicazioni: è, soprattutto, un tema talmente in divenire continuo e dinamico, che richiede(rebbe) una coralità di sguardi, anche non all’unisono, ma ben a fuoco sulla materia anziché sulla dirittura morale dei diversi responsabili, ma purtroppo anche la storia di questo progetto è stata contagiata dai dubbi sulla trasparenza di appalti e incarichi e inevitabilmente la cronaca giudiziaria ha avuto buon gioco…
Tuttavia visitare Expo è un’occasione piuttosto unica per distinguere la comunicazione efficace da quella solo parolaia, e per verificarne gli effetti, anche perché ci si addentra e si visita una realtà che è fatta di comunicazione, con punte di eccellenza, con idee originali, con visualizzazioni molto efficaci (vedere il padiglione zero, per esempio).
Si possono incontrare quasi tutti i paesi in cui esportiamo i nostri prodotti e ci si può rendere conto, con immediatezza, delle loro sensibilità, dei loro vissuti, ma anche di usi e costumi specifici: tutte informazioni preziose per alimentare e incrementare rapporti, o per stabilirne di nuovi.
Un grande crocevia, Expo, anche alla lettera, un luogo che si esplicita con le definizioni un po’ pretenziose di “cardo” e “decumano”, manco si fosse in un sito di antica civiltà; tuttavia il cibo e i suoi dintorni, le sue origini, le ritualità che lo caratterizzano intorno al mondo ci pervengono da lontano nel tempo, ma i bisogni i i desideri, che il cibo soddisfa, appaga o evoca sono qui, più urgenti che mai; e questa Expo è un crocevia organizzato in modo che si possa scegliere e sviluppare un filone e seguirlo, come un libro da sfogliare per approfondirne anche solo una parte.
Così mi pare possa essere sintetizzata questa esposizione universale, che poi universale del tutto non è, ma che è invece molto interessante e ci mette a disposizione un’infinità di contatti e di idee. Oltre al padiglione zero, ho ammirato la grande duna che rappresenta gli Emirati Arabi (solo l’esterno a causa della lunghissima coda), Israele, il Brasile con la grande rete elastica (per me impraticabile, ma davvero suggestiva), il cluster del cacao e quello del caffè, per incontrare chi coltiva e capire così che lo sguardo ecologico è davvero mondiale, il padiglione dell’Italia (nonostante ritardi e critiche)…
Come persona che vive più in campagna che in città e che si interessa da anni ai temi della terra e dell’agricoltura sono rimasta impressionata toccando con mano l’universale interesse per la terra, intesa come suolo; una vera svolta ecologica che mi fa pensare alla visione generalmente miope dei partiti dei verdi negli anni passati: forse avrebbero dovuto essere più integralisti e meno integrati nella politica italiana.
A Expo la percezione che il cibo sia diventato “il” tema dominante nel mondo – lo riscontriamo ogni giorno su tutti i media – diventa realtà. Del resto, oltre sette miliardi di esseri umani hanno prima di tutto bisogno di nutrirsi e di dissetarsi e questo bisogno primario li fa diventare un mercato per i prodotti agricoli (con diverse sfumature e compartimenti, dalla sussistenza al lusso), rende urgenti alcune scelte che hanno ricadute numeriche impressionanti (ad esempio ettari utilizzati per l’allevamento invece che per l’orticoltura, o viceversa); le religioni con i loro tabù alimentari entrano prepotentemente in campo; il (sacrosanto) diritto di accesso all’acqua e i consumi agricoli di questo bene prezioso, e non a tutti accessibile, possono scatenare diaspore, guerre, tensioni internazionali.
Tutti questi temi, strettamente legati fra loro, e altri ancora, formano lo scenario in cui si affaccia il nostro prodotto made in Italy; di tutto ciò bisogna tener conto e il padiglione zero offre quale incipit alla visita una panoramica ben articolata di questo scenario mondiale complesso: una panoramica ben espressa e visualizzata in modo suggestivo e al contempo esatto.
Ora si tratta di vedere – forse anche di far sentire la propria voce – affinché questa non rimanga “una fiera mondiale”, che inizia e finisce. Il tema chiede, pretende, un seguito; gli investimenti impiegati sono tali (e anche l’impegno progettuale) da far sperare che Expo non venga sprecata, che diventi un ‘ponte’ verso il prossimo appuntamento mondiale, ma prima ancora stimoli un salto qualitativo nel presentare e raccontare il made in Italy: maggior consapevolezza, addetti ai lavori che siano persone di compiuta esperienza e professionalità per presentare prodotti ricordando che nascono in uno scenario culturale unico al mondo – il nostro – usando con più stile ed eleganza la comunicazione (lo stile italiano non è sufficientemente coltivato e rischia di diventare manierismo), tenendo presente che la nostra lingua va coltivata ancora prima dell’indispensabile inglese, ricordando che anche l’inglese non può (più) essere una specie di passepartout sommario, e infine tenendo conto di un contesto mondiale fortemente mutevole, in cui si può stare solo con strumenti culturali e professionali molto precisi.