SIENA. Il fatto risale a sei mesi fa. Ma le indagini della Guardia di Finanza, dopo l'eclatante fermo di un truffatore "di tutto rispetto", sono proseguite nell'intento di scoprire da dove provenivano i soldi delle transazioni "sotto banco, a quanto ammontavano complessivamente, e quanto di questi doveva essere riconosciuto allo Stato.
La vicenda è quella del truffatore che si faceva passare per Pubblico ministero della Procura della Repubblica di Firenze e che faceva credere alle sue vittime – imprenditori, professionisti, ma anche soggetti con limitate disponibilità finanziarie – di poter influire, forte della sua veste istituzionale, nell’aggiudicazione di aste giudiziarie in modo da far acquistare beni immobili a prezzi di gran lunga inferiori al presunto reale valore.Ovviamente, i contanti che servivano da "unzione" venivano non dichiarati e consegnati, sue proprie mani, nei corridoi del Tribunale di Roma.
Accanto al truffatore anche due complici: una donna che spesso si faceva passare per giudice o funzionario di un’importante banca estera, e un pregiudicato che si spacciava quale addetto alla scorta delle autorità di volta in volta interpretate.
Insomma, un pool di malavitosi che, in 5 anni era riuscito a mettere insieme un capitale "sociale" di oltre 7 mlioni di euro.
Le vittime, una volta resisi conto dell’inganno, non denunciavano l’accaduto per evitare di confessare la "tresca" alla quale anche loro avevano partecipato. Esempi di malcostume diffuso. Ma, in alcuni casi, c'erano anche altre ragioni che trattenevano i malcapitati dal denunciare alla Polizia quanto accaduto: per esempio, anche per evitare di dover dire da dove provenivano quesi contanti così leggermente sborsati.
Certo, una volta venuto fuori il giro di truffe, grazie al lavoro della Guardia di Finanza, anche le vittime si sono sentite maggiormente incentivate a denunciare il maltolto.
Così, dpo che la Polizia Tributaria arrestava il truffatore e sequestrava tutti i suoi beni (una villa, circa 700.000 euro giacenti sui conti correnti, auto di grossa cilindrata ed altri beni immobili per un totale di 3 milioni di euro), le Fiamme Gialle conducevano senza sosta altri approfondimenti diretti a verificare la corretta osservanza della normativa antiriciclaggio, interrogando decine di soggetti coinvolti nella vicenda e svolgendo accertamenti bancari e patrimoniali a livello nazionale al fine di ricostruire i flussi finanziari, oltre ad avviare una mirata verifica fiscale nei confronti del maggiore responsabile. L’insieme di tali attività ha consentito la constatazione di numerose violazioni alla normativa di prevenzione antiriciclaggio in relazione ai trasferimenti di denaro contante superiore alla soglia dei 12.500 euro, visto che la movimentazione di tali importi deve avvenire esclusivamente per il tramite di intermediari finanziari a ciò abilitati; le somme irregolarmente trasferite, tra vittime e truffatori e tra questi ed altri soggetti, hanno raggiunto i 40 milioni di euro. Inoltre, i controlli di natura tributaria diretti a tassare i proventi illeciti accumulati nel corso dell’attività truffaldina si sono di recente conclusi con la constatazione di oltre 4 milioni di euro. Il recupero di tali somme attraverso lo strumento della verifica fiscale, ordinariamente indirizzata al controllo delle imprese regolari operanti sul territorio nazionale, rappresenta invero una modalità operativa tipica della polizia tributaria investigativa sempre più orientata a ricercare i patrimoni illeciti da sequestrare o, in via alternativa, da sottoporre a tassazione.
La vicenda è quella del truffatore che si faceva passare per Pubblico ministero della Procura della Repubblica di Firenze e che faceva credere alle sue vittime – imprenditori, professionisti, ma anche soggetti con limitate disponibilità finanziarie – di poter influire, forte della sua veste istituzionale, nell’aggiudicazione di aste giudiziarie in modo da far acquistare beni immobili a prezzi di gran lunga inferiori al presunto reale valore.Ovviamente, i contanti che servivano da "unzione" venivano non dichiarati e consegnati, sue proprie mani, nei corridoi del Tribunale di Roma.
Accanto al truffatore anche due complici: una donna che spesso si faceva passare per giudice o funzionario di un’importante banca estera, e un pregiudicato che si spacciava quale addetto alla scorta delle autorità di volta in volta interpretate.
Insomma, un pool di malavitosi che, in 5 anni era riuscito a mettere insieme un capitale "sociale" di oltre 7 mlioni di euro.
Le vittime, una volta resisi conto dell’inganno, non denunciavano l’accaduto per evitare di confessare la "tresca" alla quale anche loro avevano partecipato. Esempi di malcostume diffuso. Ma, in alcuni casi, c'erano anche altre ragioni che trattenevano i malcapitati dal denunciare alla Polizia quanto accaduto: per esempio, anche per evitare di dover dire da dove provenivano quesi contanti così leggermente sborsati.
Certo, una volta venuto fuori il giro di truffe, grazie al lavoro della Guardia di Finanza, anche le vittime si sono sentite maggiormente incentivate a denunciare il maltolto.
Così, dpo che la Polizia Tributaria arrestava il truffatore e sequestrava tutti i suoi beni (una villa, circa 700.000 euro giacenti sui conti correnti, auto di grossa cilindrata ed altri beni immobili per un totale di 3 milioni di euro), le Fiamme Gialle conducevano senza sosta altri approfondimenti diretti a verificare la corretta osservanza della normativa antiriciclaggio, interrogando decine di soggetti coinvolti nella vicenda e svolgendo accertamenti bancari e patrimoniali a livello nazionale al fine di ricostruire i flussi finanziari, oltre ad avviare una mirata verifica fiscale nei confronti del maggiore responsabile. L’insieme di tali attività ha consentito la constatazione di numerose violazioni alla normativa di prevenzione antiriciclaggio in relazione ai trasferimenti di denaro contante superiore alla soglia dei 12.500 euro, visto che la movimentazione di tali importi deve avvenire esclusivamente per il tramite di intermediari finanziari a ciò abilitati; le somme irregolarmente trasferite, tra vittime e truffatori e tra questi ed altri soggetti, hanno raggiunto i 40 milioni di euro. Inoltre, i controlli di natura tributaria diretti a tassare i proventi illeciti accumulati nel corso dell’attività truffaldina si sono di recente conclusi con la constatazione di oltre 4 milioni di euro. Il recupero di tali somme attraverso lo strumento della verifica fiscale, ordinariamente indirizzata al controllo delle imprese regolari operanti sul territorio nazionale, rappresenta invero una modalità operativa tipica della polizia tributaria investigativa sempre più orientata a ricercare i patrimoni illeciti da sequestrare o, in via alternativa, da sottoporre a tassazione.
I finanzieri, infatti, hanno richiamato alla memoria una norma da tempo esistente nell’ordinamento, ma solo di recente integrata dall’art. 37 del decreto legge 223/2006 (c.d. Decreto Bersani-Visco) il quale, agevolandone la sua applicazione, prevede l’inclusione tra le classiche forme di reddito da tassare anche tutti i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale.