Junker vuole la mozzarella di plastica?...
di Silvana Biasutti
SIENA. Il titolo poteva anche essere “una giornata particolare”, non fosse che da parecchio tempo in qua le giornate particolari non si contano più.
Oggi però, qualche ragione in più per usare questa definizione ci sarebbe: non alludo solo a quello che succede in Grecia, dove Leonida-Tsipras sta combattendo le sue Termopili, ma anche alla notiziola che leggo sulle colonne di Repubblica (notata e commentata da molti cittadini) che mi appare come una cartina di tornasole delle intenzioni europee.
Sì perché, se qualcuno ha mai pensato (o sognato) che l’Europa fosse un assemblaggio di tutto il meglio che ogni nazione che ne fa parte è capace di esprimere; se qualcuno si è illuso (come la sottoscritta) che essere europei equivalesse a capirsi meglio e agire meglio nel mondo che cambia, indossando gli occhiali delle nostre tradizioni culturali e civili; se qualcuno ha pensato di essere il cittadino di un’isola felice in un mondo che muta e cresce ma tra battaglie e guerre, ebbene si legga l’articolo firmato da Carlin Petrini (la Repubblica 29/6/15) e capirà che quella che può apparire una notizia da niente, un dettaglio nel mondo delle regole che l’Europa detta per essere in regola, è l’ennesimo tentativo di toglierci un vantaggio competitivo nel settore dell’agroalimentare.
Dopo gli allevamenti intensivi di maiali, in Renania, dove acquistare la ‘materia prima’ per il nostro “crudo di Parma”, dopo i misteri delle etichettature (per non svelare l’italian sounding made in EU?), ora si vuole sanzionare l’Italia perché l’eccellente legge 138 (11-4-1974) proibisce l’uso di latte in polvere, latte ricostituito e concentrati di latte, per produrre almeno quattrocento nostri formaggi tipici – tra cui parmigiano e grana –.
Sì, ma la notizia odierna riguarda la situazione greca – obietterà qualcuno –; ed è vero, ma la contemporaneità delle due notizie è impressionante: da una parte un’Europa di cui si stenta ormai (non essendo tedeschi) a comprendere il senso e lo spirito, in cui avere debiti e chiedere di pagarli senza essere strozzati pare sia impossibile, dall’altra un arcigno consesso che, dopo aver assaggiato le delizie gastronomiche di uno dei paesi più vocati a produrle, cerca di appiattirle al livello più basso, quasi vi fosse un progetto dettato dall’invidia per banalizzare il buono e il bello, riducendoli a prodotti di consumo ‘normale’.
E se è vero che la situazione della Grecia ci mette in ansia (e con un groppo in gola), è altrettanto vero che i formaggi (prodotti con latte rieducato a Bruxelles) ci restano sullo stomaco. “L’Europa, con una mano prende, con l’altra ti toglie”, mi diceva ieri un amico regista che pensa di non aver ancora toccato con mano tutti i paradossi europei, ed è davvero questa l’impressione.
Solo un paese come il nostro – inconsapevole del proprio valore – con troppi politici bugiardi e un po’ sbruffoni, con un’enorme coda di paglia, e forte solo a parole, può ancora illudersi che dall’Europa possa arrivare un riconoscimento a ciò che di positivo e di buono siamo, nonostante tutto, sempre capaci.