di Mauro Aurigi
SIENA. Egregio direttore, da alcuni giorni avevo deciso di chiederle ospitalità per denunciare l'ultimo scempio (tra i tanti) sulla Francigena.
Volevo dire che stavano abbattendo a raso un vero e proprio bosco di lecci che non si sa come riuscisse a restare miracolosamente aggrappato, proteggendola, alla ripidissima scarpata di tufo che fiancheggia la Cassia, sulla destra andando da Fontebecci al Braccio.
Volevo dire che quella macchia scura di tronchi e fronde fogliose che copriva tutta quella scarpata e che era un segno distintivo del luogo, era scomparso sotto la furia della stupidità umana.
Volevo dire che al posto del bosco ora c'era un muro quasi perpendicolare (in qualche punto addirittura aggettante) di terra nuda a picco sulla strada. Volevo dire che ora quel muro di sabbia tufacea era oscenamente esposto al dilavamento della pioggia. Volevo dire che le chiome scure di decine e decine di lecci grandi e piccoli non c'erano più a smorzare la forza della pioggia che ora poteva picchiare liberamente su quella nudità scendendo da mille o duemila metri di altezza e poi, trasformata in fango, precipitare verso la strada senza trovare ostacoli.
Ma non ho fatto in tempo. Neanche due settimane dal criminale taglio, le piogge di ieri e di stanotte hanno cominciato la loro opera distruttrice. Stamani c'erano due o tre macchine stradali a liberare la strada dalla piccola (per ora) frana.
Prima hanno speso denaro nostro per privarci della stupenda vista di quella macchia di lecci, deturpando l'ambiente e esponendolo stupidamente all'erosione, ed ora ne devono spendere ancora (e chissà quanto altro in futuro) per liberare la strada dagli effetti della loro stupidità. Se fossi il proprietario della casa che ora incombe su quella fragile parete tufacea e che prima non si vedeva perché coperta dalle chiome dei lecci, non dormirei sonni tranquilli.
Sono anni che si stanno accanendo sui grandi alberi della Cassia (due anni fa hanno letteralmente smontato, poco più avanti, quella che penso fosse la più grande e quindi antica querce di Siena, proprio sul bordo della Cassia). Io ci ho provato ad oppormi, ma è stato tutto inutile. E' chiaro ormai che di fronte al potere della politica e della burocrazia, sempre più arrogante via via che gli anni passano, c'è poco da fare.
Bisognerebbe che l'opinione pubblica prendesse coscienza del fatto che l'ambiente e il paesaggio non appartengono ai politici e ai burocrati, ma al popolo che li ha ricevuti in eredità dalle passate generazioni. Ma non si combatte contro i mulini a vento. Ho rinunciato.
Mi è rimasta però una curiosità davvero viva, impellente: quella di conoscere il nome di quell'aquila, di quel genio che ha messo la firma sotto questo capolavoro. Ma resterò ancora una volta sconsolatamente deluso.
La ringrazio per l'attenzione.
Mauro Aurigi