Il Maestro ci ha lasciati nel corpo ma non nelle sue opere
di Luigi De Mossi
O fortuna crudel, fortuna ingrata
dunque ..Angelica a me non è più grata
dunque ..io posso lasciar mia vita propria….
Sacripante (Giacomo Piperno)
……..
Sappi che Orlando mi guardò sovente …
da morte, da disnor, da casi rei…
Angelica bella (Ottavia Piccolo) L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto
Regia Luca Ronconi
Il 21 febbraio 2015 ci ha lasciati anche Luca Ronconi.
Mi riesce difficile descrivere le sensazioni che possono dare gli spettacoli del Maestro, un genio, un genio vero e chi mi conosce sa bene quanto sia parco di elogi, soprattutto quelli assoluti.
Un uomo come quelli che piacciono a me duro, gradevole di aspetto e di fascino e anche divertente; quando voleva esserlo.
Un uomo che ha fatto del teatro e dell’opera lirica, un’esperienza totalizzante fino ad annullare ogni altro interesse, ogni altra espressione.
Un regista che appartiene al gotha del novecento non solo italiano; sul suo livello nel nostro paese solo Visconti e Strehler.
Un grande artista senza i vezzi e gli insopportabili atteggiamenti del divo. Un regista talmente bravo da apparire, fuori dai teatri e per chi non ha conosciuto il suo lavoro (cioè le sue messe in scena), quasi ordinario.
Un carattere duro com’è di quelli che pretendono l’eccellenza da sé e dagli altri; però anche simpatico e piacevole fuori di scena dove, invece, dava e pretendeva il massimo senza risparmiare e risparmiarsi. Riservato, riservatissimo, nella vita.
Di lui ricordo spettacoli incredibili il più grande rimane – per me – “L’Orlando Furioso” con cui stupì ed entusiasmò il festival dei due mondi di Spoleto nell’anno di grazia 1969 e del quale rimane un’altrettanto sontuoso allestimento per la televisione. Poi spettacoli memorabili della classicità di ogni epoca (Orestea, Baccanti, Tre sorelle, I giganti della montagna, Strindberg, Schnitzler) ma anche sperimentazioni inaudite e imponenti come per “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Karl Klaus al Lingotto o opere di autori contemporanei come “l’affare makropulos” ma anche Britten e L’Holz di “Ignorabimus”, “la compagnia degli uomini” di Bond il “pasticciaccio” del gran lombardo.
Al Piccolo di Milano, dove era stato anche direttore artistico, ancor oggi è in cartellone una sua regia “Lehman Trilogy”.
Come non andare alla macchine sceniche, all’iterazione, alla durata estrema, alla simultaneità dello svolgersi degli eventi; tutto questo ingenerava ed ingenera nello spettatore una golosità (non trovo altro termine) ed una malinconia di perdersi qualcosa che accade altrove e che rimanda alle occasioni perse e colte delle vita reale.
Questa era (una) delle cose su cui Ronconi ti faceva riflettere: il teatro come finzione ma una finzione collegata alla verità della vita e della commedia umana.
Un’altra lezione era sugli attori; bravi o meno bravi erano costretti ad interrogarsi e poi a vedersi nella loro vera natura ed a comprendersi – e questo di sé può essere molto doloroso – prima di affrontare il testo, la dizione. Perciò in questo senso trovo che il metodo Ronconi sia molto più efficace del metodo americano di entrare nel personaggio. Penso ai suoi attori De Francovich, Popolizio, ma anche la Piccolo, la Melato.
Il Maestro ci ha lasciati nel corpo ma non nelle sue opere, nelle sue ossessioni nelle sue straordinarie regie: queste vivranno sempre.