Come superare la delusione della sconfitta, se restano sempre gli stessi al comando?
di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. Il sogno di Siena Capitale Europea della Cultura 2019 si è infranto. Abbiamo avuto un intero fine settimana per digerire la delusione, per raccontarci qualche scusa, per incolpare qualcuno o qualcosa… e per tirare in ballo qualche nemico astratto o concreto fino a parlare di una operazione che ha quasi volontariamente penalizzato la città del Palio.
Insomma, alla fin fine, è colpa di qualcuno. Di qualcun altro, ovviamente. Perché il lavoro di Sacco e dei suoi collaboratori era impeccabile ma i cattivoni della giuria europea si sono fatti convincere da ragioni che non avevano alcuna attinenza con i progetti presentati… intrecci politici (sempre di matrice Pd), economici… quei “metodi e sistemi”, e magari modalità di cui Siena è stata scenario per un buon ventennio e che, certamente, potrebbe insegnare, se solo i muri potessero parlare.
Il duro colpo subito dai senesi venerdì scorso è tanto più gravoso perché viene inferto ad un popolo già stremato e disilluso; travolto dalle macerie del suo patrimonio economico, culturale e sociale così difficile da ricostruire, anche solo nel pensiero. Aggrapparsi al titolo d Capitale europea della cultura era, in qualche modo, galleggiare grazie ad un salvagente, cercando di arrivare a vedere un qualche porto.
Ma il venerdì nero senese ha infranto le speranze. Se da una parte si era ancora in trepida attesa (ancora per qualche ora), dall’altra si leggeva di nuovi personaggi coinvolti nel “groviglio armonioso”. Dall’ex-allenatore della Mens Sana e ora ct della Nazionale Pianigiani al vice direttore del Corriere di Siena, Stefano Bisi, maestro venerabile del Grande Oriente d’Italia. Nuovi inquisiti in una tela che si delinea sempre più nitidamente in tutte le sue trame. Nessuno è caduto dalla sedie alla notizia uscita sulle pagine della Nazione, questo è certo. E’ non è solo per l’abitudine a certe vicende italiane. E’ che, per un senese immerso nell’oggi, non ci sono ormai tanti segreti da scoprire, almeno nella definizione dei protagonisti del “Sistema Siena”. Forse mancano ancora alcuni tasselli relativi a storie, episodi, passaggi di soldi, interessi intrecciati tra pubblico e privato… e poco più. Il resto è chiaro, lampante.
Così come è profondamente chiaro, ormai, che i movimenti interni a Siena siano stati “benedetti”, se non indirizzati, fuori dalle mura cittadine. Talmente chiaro che molti dei protagonisti senesi, dopo le vicende ben note della banca e delle collegate, siano poi finiti (o abbiano rischiato di finire) a ricoprire incarichi di respiro nazionali. O dobbiamo sempre pensare a delle incredibili, fantasmagoriche, coincidenze?
Con questi dati alla mano, farsi prendere da un sano spirito di rivalsa, da un moto di orgoglio volto alla rinascita di Siena è difficile anche per gli animi più indomiti. Soprattutto quando a fare da apripista ci sono i soliti amministratori dimostratisi nettamente incapaci di seguire strade coraggiosamente rivoluzionarie, rispetto a tutto quello che oggi è la politica e la gestione della res pubblica. Chi potrebbe pensare di affidare il compito di ridisegnare il futuro della città ad amministratori legati tanto o poco al suo tragico passato (remoto e pure recente)? Chi potrebbe pensare di superare le difficoltà di Siena attraverso coloro i quali, a vario titolo, quelle stesse difficoltà le hanno create o si sono girati dall’altra parte pur sapendo quali esiti avrebbero dato certi comportamenti e certi accordi di potere?
A Siena questa necessaria rivoluzione non c’è stata. Ci sono stati movimenti gattopardeschi, operazioni di strabiliante camaleontismo, ma nessuna sostanziale rivoluzione. Si è continuato a gestire ogni settore attraverso le amicizie, gli accordi politici, gli interessi personalistici, gli schieramenti contrapposti.
Neppure la sfida della candidatura a Capitale europea della Cultura ha spinto gli amministratori o anche solo gli addetti ai lavori, a rompere le logiche locali per un progetto di più ampio respiro, che potesse trarre energia da coloro che, lontano dalle ramificazioni del potere, aveva coltivato per anni la sua indipendenza e la sua capacità di realizzare e realizzarsi. Neppure la disperata situazione della città ha mosso verso la creazione di una “alleanza” di popolo – inclusiva e non esclusiva – di dialogo e non di pontificazione, di trasparenza e collaborazione e non di “segreti” da svelare. A sostenere il non coinvolgimento della città, massima critica al lavoro di Sacco, sono persone al di sopra di ogni possibile idea di fazione. Nel senso che non si possono definire di opposizione. David Taddei, dalla sua pagina FB – dopo aver voluto dare un riconoscimento all’ex sindaco Maurizio Cenni e all’ex assessore alla cultura Marcello Flores per aver scommesso sulla straordinaria opportunità di Siena Cec 2019 – scrive: “Lo dico anche per esperienza personale. Ho provato tante volte a contattare il direttore di candidatura Sacco, ma da quando non sono stato più portavoce o capogabinetto di qualche sindaco, non mi ha più risposto al telefono o concesso appuntamenti. Penso che una situazione simile l’abbiano vissuta in tanti. Questo il vero limite di un’esperienza che è andata comunque oltre le aspettative di tutti, escluso il solito e un po’ stantio “tifo degli ultimi giorni”, tipico della nostra comunità e che oggi ragiona come se avessimo perso a calci di rigore una finale di Champions League”. E se Sacco non ha ricevuto lui, figurarsi altri molto meno noti nell’ambiente cittadino!
Leggere il bid book sarà un viaggio interessante. Giudicarlo da una prima lettura sommaria non sarebbe giusto e si potrebbe cadere nella facile critica.
Del resto, se di questa avventura resta il lavoro fin qui fatto dagli “addetti ai lavori”, non gratuitamente e quindi di proprietà collettiva, forse è conveniente partire anche da quello per sviluppare un “progetto cultura” che da troppo tempo manca in città. Senza più personalismi, comitati d’affari, “geni” o schieramenti, occorre capire quale futuro disegnare per questa città, patrimonio compreso. E chi potrebbe farlo? Beh, un comitato cittadino, magari. Un gruppo di persone votate alla cultura, provenienti da diverse realtà indipendenti, autonomi e competenti, capaci di dare una valutazione di fattibilità ai progetti presentati alla giuria europea. Partendo, magari, da quei personaggi senesi di spessore che, chissà perché, sono stati esclusi dalla Commissione senese per la candidatura.
Nella commissione, si può escludere da subito Giovanna Barni. Con il posto in deputazione amministratrice e l’incarico nuovo nuovo nel cda della Chigiana, dovrebbe avere l’agenda bella piena. Non si capisce come possa continuare a seguire la sua attività, guarda caso rivolta al settore cultura. A nulla sono valsi gli indirizzi della Deputazione generale circa l’inopportunità per i suoi membri di sedere contemporaneamente in Palazzo Sansedoni e in qualche cda di partecipate o controllate… a nulla è valso neppure l’odore di conflitto di interessi… probabilmente ci sono ragioni che ancora non si conoscono per aver dato comunque seguito alla proposta poco opportuna.
L’idea che circola da qualche tempo e che è stata riportata, con giusta indignazione, da Roberto Guiggiani (SC) su FB fa letteralmente accapponare la pelle: “Mi sembra che qualcuno stia già provando a fare il pacchetto blindato: – Fondazione unica per Santa Maria della Scala e gestione progetti Siena2019;- Sacco super direttore; – comitato Siena 2019 trasferito per intero e stabilizzato dentro la nuova Fondazione. Non mi piace. Non è questo che è stato votato e approvato in Consiglio comunale”.
Al di là delle opinioni di ciascuno, un comitato perdente, oggettivamente perdente, non può essere promosso a nuovi e più alti incarichi. In un paese civile non funziona così. Poi, rafforzando ed accentrando un sistema già dimostratosi chiuso e refrattario alle istanze innovative della città non si farebbe che dare ragione a chi parla di un “comitato di affari” pronto a mettere le mani sui fondi che sarebbero destinati alla cultura o che, dalla gestione di questa, potrebbero arrivare. A chi potrebbe giovare questa oligarchia culturale autoreferenziata, se non a chi se ne assume l’incarico? Questi concetti, così come vengono fuori, non sono cultura e quindi non possono fare cultura. Non la faranno mai. E per sovvertire questa regola non basta neppure un genio o due.
Siena può ripartire dalla cultura? Siena può contare sulle proprie forze per dare vita ad una stagione di unità e di rinascita dei suoi tesori (partendo dal Santa Maria della Scala)? Si può cambiare, dalla base, modo di pensare per dare un’altra opportunità alla città? Si può, da questa sconfitta, ricavare un vantaggio per tutti? Si può far scaturire, dalla delusione e dallo sconforto, un atto di umiltà che produca nei nostri amministratori il riconoscimento degli errori ed il netto cambio di rotta nell’agire quotidiano?
Insomma, alla fin fine, è colpa di qualcuno. Di qualcun altro, ovviamente. Perché il lavoro di Sacco e dei suoi collaboratori era impeccabile ma i cattivoni della giuria europea si sono fatti convincere da ragioni che non avevano alcuna attinenza con i progetti presentati… intrecci politici (sempre di matrice Pd), economici… quei “metodi e sistemi”, e magari modalità di cui Siena è stata scenario per un buon ventennio e che, certamente, potrebbe insegnare, se solo i muri potessero parlare.
Il duro colpo subito dai senesi venerdì scorso è tanto più gravoso perché viene inferto ad un popolo già stremato e disilluso; travolto dalle macerie del suo patrimonio economico, culturale e sociale così difficile da ricostruire, anche solo nel pensiero. Aggrapparsi al titolo d Capitale europea della cultura era, in qualche modo, galleggiare grazie ad un salvagente, cercando di arrivare a vedere un qualche porto.
Ma il venerdì nero senese ha infranto le speranze. Se da una parte si era ancora in trepida attesa (ancora per qualche ora), dall’altra si leggeva di nuovi personaggi coinvolti nel “groviglio armonioso”. Dall’ex-allenatore della Mens Sana e ora ct della Nazionale Pianigiani al vice direttore del Corriere di Siena, Stefano Bisi, maestro venerabile del Grande Oriente d’Italia. Nuovi inquisiti in una tela che si delinea sempre più nitidamente in tutte le sue trame. Nessuno è caduto dalla sedie alla notizia uscita sulle pagine della Nazione, questo è certo. E’ non è solo per l’abitudine a certe vicende italiane. E’ che, per un senese immerso nell’oggi, non ci sono ormai tanti segreti da scoprire, almeno nella definizione dei protagonisti del “Sistema Siena”. Forse mancano ancora alcuni tasselli relativi a storie, episodi, passaggi di soldi, interessi intrecciati tra pubblico e privato… e poco più. Il resto è chiaro, lampante.
Così come è profondamente chiaro, ormai, che i movimenti interni a Siena siano stati “benedetti”, se non indirizzati, fuori dalle mura cittadine. Talmente chiaro che molti dei protagonisti senesi, dopo le vicende ben note della banca e delle collegate, siano poi finiti (o abbiano rischiato di finire) a ricoprire incarichi di respiro nazionali. O dobbiamo sempre pensare a delle incredibili, fantasmagoriche, coincidenze?
Con questi dati alla mano, farsi prendere da un sano spirito di rivalsa, da un moto di orgoglio volto alla rinascita di Siena è difficile anche per gli animi più indomiti. Soprattutto quando a fare da apripista ci sono i soliti amministratori dimostratisi nettamente incapaci di seguire strade coraggiosamente rivoluzionarie, rispetto a tutto quello che oggi è la politica e la gestione della res pubblica. Chi potrebbe pensare di affidare il compito di ridisegnare il futuro della città ad amministratori legati tanto o poco al suo tragico passato (remoto e pure recente)? Chi potrebbe pensare di superare le difficoltà di Siena attraverso coloro i quali, a vario titolo, quelle stesse difficoltà le hanno create o si sono girati dall’altra parte pur sapendo quali esiti avrebbero dato certi comportamenti e certi accordi di potere?
A Siena questa necessaria rivoluzione non c’è stata. Ci sono stati movimenti gattopardeschi, operazioni di strabiliante camaleontismo, ma nessuna sostanziale rivoluzione. Si è continuato a gestire ogni settore attraverso le amicizie, gli accordi politici, gli interessi personalistici, gli schieramenti contrapposti.
Neppure la sfida della candidatura a Capitale europea della Cultura ha spinto gli amministratori o anche solo gli addetti ai lavori, a rompere le logiche locali per un progetto di più ampio respiro, che potesse trarre energia da coloro che, lontano dalle ramificazioni del potere, aveva coltivato per anni la sua indipendenza e la sua capacità di realizzare e realizzarsi. Neppure la disperata situazione della città ha mosso verso la creazione di una “alleanza” di popolo – inclusiva e non esclusiva – di dialogo e non di pontificazione, di trasparenza e collaborazione e non di “segreti” da svelare. A sostenere il non coinvolgimento della città, massima critica al lavoro di Sacco, sono persone al di sopra di ogni possibile idea di fazione. Nel senso che non si possono definire di opposizione. David Taddei, dalla sua pagina FB – dopo aver voluto dare un riconoscimento all’ex sindaco Maurizio Cenni e all’ex assessore alla cultura Marcello Flores per aver scommesso sulla straordinaria opportunità di Siena Cec 2019 – scrive: “Lo dico anche per esperienza personale. Ho provato tante volte a contattare il direttore di candidatura Sacco, ma da quando non sono stato più portavoce o capogabinetto di qualche sindaco, non mi ha più risposto al telefono o concesso appuntamenti. Penso che una situazione simile l’abbiano vissuta in tanti. Questo il vero limite di un’esperienza che è andata comunque oltre le aspettative di tutti, escluso il solito e un po’ stantio “tifo degli ultimi giorni”, tipico della nostra comunità e che oggi ragiona come se avessimo perso a calci di rigore una finale di Champions League”. E se Sacco non ha ricevuto lui, figurarsi altri molto meno noti nell’ambiente cittadino!
Leggere il bid book sarà un viaggio interessante. Giudicarlo da una prima lettura sommaria non sarebbe giusto e si potrebbe cadere nella facile critica.
Del resto, se di questa avventura resta il lavoro fin qui fatto dagli “addetti ai lavori”, non gratuitamente e quindi di proprietà collettiva, forse è conveniente partire anche da quello per sviluppare un “progetto cultura” che da troppo tempo manca in città. Senza più personalismi, comitati d’affari, “geni” o schieramenti, occorre capire quale futuro disegnare per questa città, patrimonio compreso. E chi potrebbe farlo? Beh, un comitato cittadino, magari. Un gruppo di persone votate alla cultura, provenienti da diverse realtà indipendenti, autonomi e competenti, capaci di dare una valutazione di fattibilità ai progetti presentati alla giuria europea. Partendo, magari, da quei personaggi senesi di spessore che, chissà perché, sono stati esclusi dalla Commissione senese per la candidatura.
Nella commissione, si può escludere da subito Giovanna Barni. Con il posto in deputazione amministratrice e l’incarico nuovo nuovo nel cda della Chigiana, dovrebbe avere l’agenda bella piena. Non si capisce come possa continuare a seguire la sua attività, guarda caso rivolta al settore cultura. A nulla sono valsi gli indirizzi della Deputazione generale circa l’inopportunità per i suoi membri di sedere contemporaneamente in Palazzo Sansedoni e in qualche cda di partecipate o controllate… a nulla è valso neppure l’odore di conflitto di interessi… probabilmente ci sono ragioni che ancora non si conoscono per aver dato comunque seguito alla proposta poco opportuna.
L’idea che circola da qualche tempo e che è stata riportata, con giusta indignazione, da Roberto Guiggiani (SC) su FB fa letteralmente accapponare la pelle: “Mi sembra che qualcuno stia già provando a fare il pacchetto blindato: – Fondazione unica per Santa Maria della Scala e gestione progetti Siena2019;- Sacco super direttore; – comitato Siena 2019 trasferito per intero e stabilizzato dentro la nuova Fondazione. Non mi piace. Non è questo che è stato votato e approvato in Consiglio comunale”.
Al di là delle opinioni di ciascuno, un comitato perdente, oggettivamente perdente, non può essere promosso a nuovi e più alti incarichi. In un paese civile non funziona così. Poi, rafforzando ed accentrando un sistema già dimostratosi chiuso e refrattario alle istanze innovative della città non si farebbe che dare ragione a chi parla di un “comitato di affari” pronto a mettere le mani sui fondi che sarebbero destinati alla cultura o che, dalla gestione di questa, potrebbero arrivare. A chi potrebbe giovare questa oligarchia culturale autoreferenziata, se non a chi se ne assume l’incarico? Questi concetti, così come vengono fuori, non sono cultura e quindi non possono fare cultura. Non la faranno mai. E per sovvertire questa regola non basta neppure un genio o due.
Siena può ripartire dalla cultura? Siena può contare sulle proprie forze per dare vita ad una stagione di unità e di rinascita dei suoi tesori (partendo dal Santa Maria della Scala)? Si può cambiare, dalla base, modo di pensare per dare un’altra opportunità alla città? Si può, da questa sconfitta, ricavare un vantaggio per tutti? Si può far scaturire, dalla delusione e dallo sconforto, un atto di umiltà che produca nei nostri amministratori il riconoscimento degli errori ed il netto cambio di rotta nell’agire quotidiano?
D’istinto, la risposta sarebbe “no”. Ma sono sempre i senesi a fare la differenza, in certe storie… allora, perché non sperare?