L'Associazione Città del Vino contro la normativa europea
SIENA. Mettere il territorio italiano in bottiglia ma non poterlo comunicare equivale ad essere ambasciatori che non possono nominare la propria patria. L’Associazione Nazionale delle Città del Vino sostiene l’azione intrapresa dalla Federazione italiana vignaioli indipendenti per ottenere la modifica della norma che, equiparando l’etichetta ai materiali di comunicazione aziendale, vieta alle imprese del settore vitivinicolo di riportare su questi ultimi la propria regione di appartenenza.
La FIVI ha infatti annunciato che, se le autorità italiane non modificheranno lo stato delle cose, dal 1 gennaio 2015 tutti i loro soci si autodenunceranno pubblicando in grande evidenza sui propri siti aziendali la regione di appartenenza e agendo quindi concretamente e coscientemente in violazione della legge.
Accogliendo la norma contenuta nel Regolamento Europeo 1308/2014, l’Art. 53 (Titolo III) del Testo Unico della vite e del vino legifera sull’impiego delle denominazioni geografiche nella comunicazione aziendale (siti internet, brochure, cataloghi, cartoni personalizzati, etc.), introducendo pesanti sanzioni economiche nel caso in cui il nome della regione di appartenenza coincida con una DO o una IG non prodotta dall’azienda. Un produttore di Barolo, per fare un esempio, non potrebbe indicare come sede aziendale la regione delle Langhe in Piemonte senza venire accusato di usurpare le denominazioni “Langhe” e “Piemonte”.
Il 18 giugno scorso nell’audizione presso la Commissione agricoltura della Camera dei Deputati, la FIVI aveva già ribadito la necessità di distinguere invece tra etichettatura vera e propria e informazioni equiparate all’etichettatura, per le quali il rischio di creare confusione nei consumatori è molto inferiore.
“È un’azione forte – ha dichiarato il presidente della FIVI Matilde Poggi – ma sentiamo il dovere di far sentire la nostra voce per tutelare gli interessi di tutti i vignaioli italiani. I nostri vini sono i portavoce delle zone viticole di tutta Italia, sono il frutto del nostro impegno quotidiano a valorizzare, promuovere e custodire il paesaggio, sono messaggi in bottiglia che parlano a tutto il mondo del nostro paese. Insieme a tutti i nostri colleghi produttori del comparto agroalimentare nazionale siamo ambasciatori della nostra terra; come possiamo raccontarla al mondo senza nemmeno poterla citare?”
“L’atto di disobbedienza civile prefigurato dalla FIVI – ribadisce il presidente dell’Associazione delle Città del Vino, Pietro Iadanza – ci spinge a rilanciare sia il riconoscimento del vino italiano come patrimonio culturale nazionale sia il riconoscimento della cultura del vino nella sua totalità come Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco. Dovremmo cominciare a prendere esempio dalla Francia, dove l’emendamento presentato un anno fa dal senatore socialista Roland Courteau per istituzionalizzare il vino come patrimonio culturale e gastronomico della Francia è oggi arrivato in discussione alla Assemblea Nazionale all’interno di un progetto di legge più complessivo per l’agricoltura, l’alimentazione e la foresta. Anche e soprattutto per l’Italia il vino è parte fondante della storia e della cultura nazionale, uno dei simboli indiscussi del nostro paese, fonte di sviluppo economico, elemento costitutivo e presidio del paesaggio rurale”.
“Sollecitare e sostenere un processo normativo di protezione e valorizzazione della cultura del vino – ricorda infine Paolo Benvenuti, direttore delle Città del Vino e presidente dell’Associazione Internazionale Iter Vitis – potrebbe inoltre fornire una preziosa occasione per contrastare, con campagne efficaci di educazione al consumo e divulgazione degli effetti benefici di un suo modico uso, gli atteggiamenti proibizionistici di chi vede questo prodotto come una semplice bevanda alcolica, non lo ritiene né un alimento né un fatto culturale e lo assimila addirittura ad una droga.”
Associazione Città del vino