Liberando Vigni da ogni responsabilità, ha messo la banca nelle peste
di Red
SIENA. L’aumento di capitale del luglio 2011 era stato un fallimento su tutta la linea. Sarebbe banale ripetere che lo avevamo scritto, e non ci resta che ipotizzare, data l’evidenza dei fatti, che la coppia Mussari-Vigni possa aver ricevuto qualche garanzia di protezione o stesse contrattando con un qualche cavaliere bianco (saudita piuttosto che cinese, o lo stesso Matteo Arpe), che regolarmente la stampa e i rumours di palazzo tiravano fuori dal cilindro per dare ossigeno alla grancassa ansimante del Monte dei Paschi. La faccenda era chiara per tutti e, sfumata ogni pista che potesse sostenere la baracca, il declino verso il 2012 conduceva a un ricambio obbligatorio del vertice. Per uscire Antonio Vigni ottenne da Mussari delle garanzie. Una lettera di manleva, come ricorda Il Fatto Quotidiano: “Nell’ambito del cennato (sic) rapporto di lavoro, la banca si adopererà affinché il dottor Vigni venga tenuto immune da azioni, anche di terzi, in relazione al suo operato di Direttore generale”. Firmato: Giuseppe Mussari. Due righe al termine di una striminzita paginetta, senza intestazione, che regolano l’uscita dell’ex direttore generale Antonio Vigni da Monte dei Paschi di Siena. La lettera è datata 12 gennaio 2012”. Tanto per approfondire quanto scrive il direttore Ruscitto nel suo odierno editoriale, diciamo che secondo questa lettera, tutte le contestazioni a Vigni verranno pagate dalla banca e non dall’ex-dg. Una foglia di fico che solo una condanna per associazione a delinquere potrebbe far volar via e colpirlo patrimonialmente. “A Firenze” prosegue Il Fatto, “sono aperte una serie di cause civili intentate dalla banca e dalla Fondazione Mps contro gli ex vertici, Nomura e Deutsche Bank. Proprio sulla base di quel foglio di carta, la difesa di Vigni ha chiesto di escludere il proprio assistito dalle richieste di risarcimento. Con l’assurdo risultato che, se venisse riconosciuta valida, la banca potrebbe dover pagare lei l’eventuale risarcimento alla Fondazione. Oltre a non prendere una lira, almeno da Vigni, degli 1,2 miliardi richiesti complessivamente ai due manager e alle banche d’affari”.
Non è stato banale ricordare che lo avevamo scritto, perché nella doverosa ricerca della verità dei fatti il retrobottega che lavorava per tenere in piedi la coppia non è mai entrato nelle indagini giudiziarie, né la ricostruzione della Guardia di Finanza fa luce (allo stato delle nostre conoscenze), per spiegare la finalità di guadagnare appena un paio di mesi – già a ottobre arrivavano altri interventi esterni a puntellare la Rocca mussariana per tacere del Palazzo dei Normanni – una situazione che era apertamente irrecuperabile. Quali promesse potevano aver strappato in alto loco, visto l’impatto che avrebbe comportato in quel momento difficilissimo per l’economia italiana la dichiarazione di fallimento di Banca Monte dei Paschi di Siena?
Adesso ci piacerebbe avere la quantificazione della beffa. Il danno è già stato accertato, per la beffa le multe milionarie di Bankitalia e Consob prendono la via di Roma e Milano. E se poi alla fine dovessero pesare sui conti di Rocca Salimbeni ecco che un altro aumento di capitale sarebbe giustificato a prescindere. E non abbiamo ancora parlato di stress test: per quelli aspettiamo le risultanze della deadline del 23 ottobre, più gli inevitabili spostamenti che non sono mai mancati in queste occasioni. Forse per novembre, quando chi di dovere avrà regolato i propri interessi, lo stato dell’arte del MPS sarà disvelato.