Ultima opera di Gianfranco Barbanera, autore chiusino appassionato di storia
CHIUSI. Tutto avvenne tra il 13 e il 21 aprile di oltre sei secoli fa. Era il 1390, gli anni in cui il feudalesimo e i liberi Comuni lasciavano il posto agli Stati assoluti e il Rinascimento era ancora lontano, quando Jacopo di Montepulciano – nome esteso Jacopo Bertoldo Novello Del Pecora di Montepulciano – discendente dei Del Pecora, che per quasi tutto il ‘300 avevano guidato la cittadina, vide richiudersi dietro le sue spalle la porta di una cella del carcere delle “Stinche” di Firenze.
E’ lui il protagonista dell’ultimo lavoro di Gianfranco Barbanera, autore chiusino, appassionato di storia e di ricerca storica che, imbattutosi quasi per caso, nei documenti che narravano le vicende di quest’uomo, non ha potuto fare a meno di farsene coinvolgere, cercando altri documenti e approfondendo il suo caso che è umano, storico-politico, letterario e religioso.
Jacopo di Montepulciano infatti ebbe la sventura di sostenere il cugino ‘sbagliato’ in quegli anni di lotta spietata per il potere, che vedeva Montepulciano contesa tra Siena, sostenuta dai Visconti di Milano, e Firenze. Ebbe la meglio quest’ultima e Jacopo, reo di aver appoggiato gli altri e tramato con i milanesi, venne condannato al carcere per “tradimento”, dagli Otto di guardia, una magistratura straordinaria, creata in quegli anni per l’eccezionalità della situazione politica che, a parere di Barbanera, compì però, atti nefasti e impartì condanne ingiuste, come nel caso del nostro Jacopo.
Uno spaccato su un’epoca storico-politica oscura e sulle vicende che hanno interessato Montepulciano. Questo è dunque il nuovo libro di Barbanera, ma non solo. “Quella luce” infatti, è anche la storia di un percorso letterario e spirituale che il nostro compì nei diciassette lunghi anni di prigionia, quando le giornate di Jacopo erano illuminate solo dalla luce sottile che attraversava l’unico pertugio della sua cella. E dalle lettere degli amici, che già aveva e che in quegli anni si fece, che lo sostennero, consentendogli di trovare conforto dapprima nella letteratura e poi nella religione.
Durante gli anni della prigionia, Jacopo compose diverse opere, tra cui un poema in terzine, la “Fimerodia” (famoso canto d’amore) ed altri componimenti, scoperti dall’autore e per la prima volta editi in questo suo libro. In quegli anni intrecciò inoltre un’amicizia epistolare con alcuni personaggi importanti dell’epoca, tra cui principalmente Francesco Datini, scaltro mercante, e Lapo Mazzei, notaio illuminato, i quali lo accompagnarono non solo verso la scarcerazione, che giunse infine nel 1407, ma anche verso la fede, che lo condusse ad avvicinarsi al movimento dei Bianchi.
Pochi furono gli anni che probabilmente visse Jacopo in libertà prima della morte, ma il suo percorso così abilmente descritto da Barbanera è – con i suoi numerosi riferimenti storici, politici, psicologici, morali e religiosi – ancor oggi, di grande modernità perché, come lui stesso scrive: “ciò che è accaduto può continuare ad accadere, in modi e direzioni diverse”.
Gianfranco Barbanera, nove i libri pubblicati, è un amante della scrittura nel senso letterale del termine. Ama scrivere a mano e seguire ispirazione e suggestioni della propria esperienza, realizzando ogni volta un’opera a sé stante in cui la ricerca e la documentazione risultano sempre basilari. Diversi i generi affrontati in questi anni: dai libri per l’infanzia – come “Ceccobao e l’astrocarro” e “Bip il carrellino” con cui vinse il primo premio Rodari – ai libri per docenti e soprattutto i saggi. L’ultimo volume pubblicato prima di questo è il “Dizionario popolare del Monte Cetona – 1000 espressioni della parlata dei Comuni di Cetona, Sarteano, San Casciano dei Bagni e Chiusi”, edito sempre per Thesan & Turan.