di Alessandra Siotto
SIENA. “Facendo una valutazione complessiva sul ’68 le cose potevano andare diversamente. Siamo stati ciechi rispetto alle minoranze, ai movimenti non violenti e giocosi come gli hippie e i capelloni, così come siamo stati ciechi verso la disabilità: era una visione maschiocentrica, il corpo del ‘68 era forte, sano maschio”. Queste le parole di Anna Bravo che ieri pomeriggio (5 maggio) è stata la protagonista dell’appuntamento settimanale di Lunedilibri.
L’autrice, intervistata dall’assessore Marcello Flores d’Arcais, ha presentato il suo ultimo libro “A colpi di cuore. Storie del sessantotto” uscito in libreria a Marzo per la casa editrice Laterza.
La Bravo si è definita come una ”ex-sessantottina, una ex-Lotta Continua, perché ex significa che non si è più quella cosa, ma lo si è stati e si continua a mantenere dei legami con quella parte di sé”. Per questo il libro è intriso di esperienze soggettive che l’autrice ha vissuto in prima persona, ma allo stesso tempo si allontana dalle polarizzazioni e mitizzazioni pro e contro il sessantotto.
“Ho botte di rabbia e di nostalgia rispetto a quello che ero e a quello che eravamo. Abbiamo avuto il gran lusso di vivere quel periodo in cui c’era un crogiuolo di persone che provenivano da esperienze e paesi diversi, una ricchezza che oggi non c’è più”. La Bravo ha spiegato come quell'epoca fosse caratterizzata dalla “fiducia nel cambiamento che oggi non c’è più, da una politica intesa in modo ampio e da tate persone che insieme facevano quella politica, ma in particolare dalla sovrapposizione della sfera domestica e di quella pubblica: lo spazio universitario diventava familiare cucinando e mangiando insieme tra i banchi delle aule”.
Anna Bravo sostiene che nelle posizione che giudicano in positivo o in negativo il ’68 molte cose vengono taciute: “Basaglia ha chiuso i manicomi, ma sosteneva l’uso di psicofarmaci e spesso si negano dei pezzi di realtà, così come sul rapporto di quegli anni col terrorismo, non è vero che il ’68 è la culla del terrorismo”.
La scrittrice ha una concezione storiografica del “sessantotto lungo”, cioè di un movimento che prosegue anche negli anni settanta perché “il sessantotto costituisce una rivoluzione simbolica, non solo culturale”. Secondo la Bravo “ci sono due temi fondamentali che nascono nel ’68 e continuano anche dopo: l’ampliamento dello spazio del discorso pubblico, con l’allargamento del diritto di parlare anche a persone che prima non l’avevano, e l’idea del partire da sé grazie alla quale venivano ammessi al discorso pubblico temi ed aspetti della vita privata, sovrapponendo sfera domestica e spazio collettivo”.
Tuttavia la scrittrice fa una critica attenta di quell’epoca: “il limite del ’68 italiano è la sottovalutazione delle libertà democratiche, che venivano disprezzate, mentre in altri paesi difese”. La Bravo pone l’accento sulla “visione maschilista e monosessuale di quegli anni, che le donne hanno denunciato: la mentalità da spogliatoio ha tagliato le gambe al sessantotto, al femminismo e anche negli anni successivi”. Vista l’esperienza personale dell’autrice è inevitabile che il discorso cada sul femminismo: “è un movimento che ha vinto; la legge sull’aborto non sarà una legge perfetta, ma è una legge buona che è stata ottenuta grazie al femminismo. Gli uomini oggi non possono più fare finta di non sapere e non possono più pensare di essere gli unici soggetti, le donne hanno acquisito spazio nella cultura”.