SIENA. “Ed ecco che nude, con le braccia alzate, usciamo in fila indiana in corridoio e ci allineiamo lungo la parete, sentendo con tutto il corpo e l’anima il contatto delle mani delle sorveglianti. Che scena selvaggia! Un uomo civile può forse immaginare una cosa simile? (…) Il regime è inteso a far sì che la gente si riconosca colpevole di ciò di
cui è accusata, oppure impazzisca. C’è una terza via di uscita: morire”.
A parlare, o meglio, a scrivere è Evfrosinija Kersnovskaja, una delle poche persone sopravvissute ai gulag staliniani che, in 12 quaderni ha annotato la sua prigionia, fino a quando, negli anni Sessanta torna libera, e continua a riempire i fogli per non dimenticare.
Evfrosinija Kersnovskaja nonostante la disperazione, il dolore, la fame, il freddo, i ritmi di lavoro disumano ai quali viene sottoposta, le umiliazioni che, più di ogni altra cosa, la offendono trapassandole il corpo fino a dentro l’anima, non si fa lasciare dalla vita.
Muore nel 1994, a 87 anni, la sua storia, adesso è in un libro: Quanto vale un uomo (Bompiani, editore); sarà presentato lunedì prossimo (9 marzo) alla Biblioteca comunale degli Intronati da Emanuela Guercetti, che ne ha curato la traduzione intervistata da Elena Kostioukovitch, curatrice, invece, dell’edizione italiana.
Sono circa 700 pagine, tante, ma poche per raccontare la storia di decine, di uomini, donne, bambini, deportati, come lei, in Siberia.
Evfrosinija nasce a Odessa da padre russo e madre greca. La sua famiglia, aristocratica, per sfuggire alla guerra civile si trasferisce in una piccola tenuta della Bessarabia, e sarà proprio il suo status sociale di proprietaria terriera a condannarla, dopo l’occupazione del paese da parte dell’URSS, come “nemica” del potere sovietico e deportata in Siberia, dove lavora pesantemente nei boschi. Fugge, a piedi percorre 1500 chilometri nella tayga. Viene catturata e condannata alla reclusione nel campo di Norilsk, oltre il circolo polare artico.
Quanto vale un uomo parla di una donna straordinaria sopravvissuta, con dignità, all’inferno spersonalizzante del gulag.
“Presi una decisione: in qualsiasi lotta, vincere!” Ha carattere, coraggio, coscienza e, soprattutto, non è mai vittima. La Kersnovskaja scrive la sua via crucis perché le generazioni future conoscano gli orrori di quegli anni, i tentativi di falsificare la storia vanno combattuti, “è meglio vedere il pericolo, piuttosto che camminare con gli occhi bendati”.
cui è accusata, oppure impazzisca. C’è una terza via di uscita: morire”.
A parlare, o meglio, a scrivere è Evfrosinija Kersnovskaja, una delle poche persone sopravvissute ai gulag staliniani che, in 12 quaderni ha annotato la sua prigionia, fino a quando, negli anni Sessanta torna libera, e continua a riempire i fogli per non dimenticare.
Evfrosinija Kersnovskaja nonostante la disperazione, il dolore, la fame, il freddo, i ritmi di lavoro disumano ai quali viene sottoposta, le umiliazioni che, più di ogni altra cosa, la offendono trapassandole il corpo fino a dentro l’anima, non si fa lasciare dalla vita.
Muore nel 1994, a 87 anni, la sua storia, adesso è in un libro: Quanto vale un uomo (Bompiani, editore); sarà presentato lunedì prossimo (9 marzo) alla Biblioteca comunale degli Intronati da Emanuela Guercetti, che ne ha curato la traduzione intervistata da Elena Kostioukovitch, curatrice, invece, dell’edizione italiana.
Sono circa 700 pagine, tante, ma poche per raccontare la storia di decine, di uomini, donne, bambini, deportati, come lei, in Siberia.
Evfrosinija nasce a Odessa da padre russo e madre greca. La sua famiglia, aristocratica, per sfuggire alla guerra civile si trasferisce in una piccola tenuta della Bessarabia, e sarà proprio il suo status sociale di proprietaria terriera a condannarla, dopo l’occupazione del paese da parte dell’URSS, come “nemica” del potere sovietico e deportata in Siberia, dove lavora pesantemente nei boschi. Fugge, a piedi percorre 1500 chilometri nella tayga. Viene catturata e condannata alla reclusione nel campo di Norilsk, oltre il circolo polare artico.
Quanto vale un uomo parla di una donna straordinaria sopravvissuta, con dignità, all’inferno spersonalizzante del gulag.
“Presi una decisione: in qualsiasi lotta, vincere!” Ha carattere, coraggio, coscienza e, soprattutto, non è mai vittima. La Kersnovskaja scrive la sua via crucis perché le generazioni future conoscano gli orrori di quegli anni, i tentativi di falsificare la storia vanno combattuti, “è meglio vedere il pericolo, piuttosto che camminare con gli occhi bendati”.