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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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A scuola dallo stregone

Un nuovo pensiero dal vecchio McLuhan

di Silvana Biasutti 

SIENA. Chissà se vedendo l’orizzonte diventare sempre più angusto – i consumi che (inevitabilmente) diminuiscono mentre la crisi avvelena tutti i settori – saremo finalmente costretti a recedere da vecchi comportamenti (che in certi casi sfuggono ormai al nostro discernimento)?

È in corso una riflessione – divenuta una ricerca continua, che sempre più si basa su dati scientifici – per capire quale posto va ad occupare la pubblicità in questo ‘dimagrimento’ generale, a cui si può (si deve!) reagire, ma non in modo inconsulto. Ed è una riflessione diffusa in molti settori…

Abbiamo in campo, oltre a quella che ci ostiniamo a chiamare “crisi”, con un appellativo che non corrisponde per niente alla verità delle cose, alcuni fenomeni in corso ormai da anni (segnalati ampiamente dal compianto professor Fabris, anche in numerosi libri, ma soprattutto nei risultati delle ricerche da lui effettuate), che appartengono alle classi – diverse tra loro, ma tutte influenti – di quelli che per comodità definisco trend setter, cioè gente colta, antesignani portatori di sensibilità che anticipano, apparentemente, i tempi. Talvolta vegani, spesso animalisti (ma il Palio c’entra poco e se si vuole si va a vedere perché), pauperisti, risparmiosi, ma amanti del bello, omeopatici, naturopati, divoratori di semi e granaglie, ‘contro’ tutta una serie di consumi: tv, video giochi, correre in auto, usa e getta in generale, packaging, carne, medicinali. Zucchero no ma miele sì, il motore spento al semaforo rosso, meglio ancora scegliere i trasporti pubblici nonostante tutto; lettori, navigatori, cineamatori (budget permettendo); contro le ostentazioni, ma favorevoli all’eleganza; attenti alla qualità e all’origine dei prodotti, aborrito ogni sciupìo…

A scorrere i risultati delle ricerche fatte per capire a cosa vanno incontro prodotti e aziende (e posti di lavoro), si capisce subito che anche i più attenti e raffinati operatori della comunicazione si trovano in mezzo a un guado che il Rio Bravo al tempo dei pellerossa fa sorridere.

Perché nel giro di pochi anni le segmentazioni dei consumi stanno cambiando radicalmente, facendo i conti con la forbice del benessere che si allarga sempre più – per cui troviamo consumatori più attenti, ma con sempre meno soldi in tasca – e con alcune istanze e sensibilità che stanno prendendo piede rapidamente e mutano, oltre ai consumi gli stili della vita di un grande numero di persone.

Pensiamo solo a una coppia appartenente alla classe media, che ha visto gli stipendi perdere di valore, un generale clima di incertezza, una crescita del cosmopolitismo con l’ingresso di culture (religioni e costumi, ma anche consumi) profondamente diverse, l’arrivo di prodotti nuovi che entrano a far parte dell’alimentazione, nel nostro paese rimasta – con l’eccezione di poche città – molto tradizionale.

Se è vero che ho conosciuto il mio primo fellafel (la ciabatta araba ripiena di verdure e legumi) a Ginevra, nei primi anni ottanta del secolo scorso, servita a un chiosco di egiziani abili e veloci, bisogna ricordare anche che Ginevra è da decenni sede di grandi organismi internazionali che hanno attratto lì, intorno agli esponenti di nazioni di tutto il mondo, anche microcosmi esotici di svariate provenienze. Negli stessi anni, a Milano – cioè nell’area più ricca e dinamica del nostro paese di allora – l’olio extravergine era conosciuto, ma non diffuso e veniva consumato con parsimonia anche da chi poteva permettersi ogni capriccio gastronomico; il vino toscano – dal punto di vista di fama e reputazione – era quasi inesistente. Ma chi ricorda bene com’erano i due prodotti appena citati, a quei tempi, deve ammettere che erano profondamente diversi – anche organoletticamente e come sapore – da quelli odierni. Tutto il vino italiano, che pure contava alcune eccellenti produzioni, era profondamente diverso da quello odierno; diversi il sapore, la presentazione, la tessitura del prodotto. Ma eravamo diversi anche noi (che quando volevamo l’alta qualità giravamo la testa verso la Francia).

Tutto cambia, dunque, e in questi tempi incerti e drammatici, i cambiamenti appena descritti in modo sommario, avvengono sotto la spinta di un insieme di elementi eterogenei e complessi. E ovviamente gli esempi relativi a vino e olio – così macroscopici e riconoscibili – toccano l’universo dei settori e dei consumi, anche quelli culturali (libri, stampa in generale, tv, radio, rete, video, teatro, musica e così via) fino a mutare la natura stessa dei prodotti – eliminandone alcuni e valorizzandone altri –.

Faccio qualche esempio. Lo Scottex e suoi imitatori: con la crescita della sensibilità all’ambiente e con la decrescita dei redditi medio bassi (dove ci sono i numeri di berlusconiana memoria) e l’aumento della disoccupazione, chi dice che il consumo di Scottex (e imitatori) così com’è rimanga a questi livelli?

Altra considerazione: ritenendolo un paradosso efficace, anni fa tiravo in ballo, in un corso di comunicazione alla LUISS, il vino (allora in crescita d’immagine ma non ancora ai livelli odierni) e osservavo che la diffusione dell’Islam avrebbe potuto, in prospettiva, costituire un inciampo, comunque ci avrebbe obbligati a nuove riflessioni. Ho letto che qualche settimana fa, a Londra dove vivono comunità di religione musulmana di seconda e terza generazione, una commessa si è rifiutata di battere lo scontrino di una bottiglia di champagne; negli stessi giorni, in un quartiere della ‘movida’ della stessa città, vi sono state vivaci manifestazioni contro il consumo di alcolici…

Sono solo esempi, colti al volo per segnalare come sia urgente smettere di fare ricerche localistiche e abborracciate, ma di capire che il cambiamento è spesso irrefrenabile, ma quasi sempre leggibile con largo anticipo. Un anticipo che dà il tempo per strumentarsi e non limitarsi a subirlo. Perché se cambiano i costumi e di conseguenza i consumi, non ci si può limitare a sperare in una strenua difesa del posto di lavoro, perché i tempi sono tali che il posto di lavoro slitta via, assieme a modi di pensare e quindi di essere (e, solo più tardi, di apparire diversi).

Ho visto in questo quotidiano on line nuovi spazi dedicati a un modo – ancora non rivoluzionario, ma certo innovativo – di comunicare prodotti e servizi. C’è da augurarsi che diventi anche un luogo in cui associazioni di categoria, imprese (anche piccolissime), professionisti e comunicatori si misurino con il cambiamento. Il mercato è conversazione e più si scambia, più si cresce. Bisogna uscire dal pensiero troppo autarchico del contesto senese e questo giornale è un buon veicolo, che può ulteriormente migliorare. Con la sua specificità di diffusione, inoltre, può dare una mano a questa città e ai suoi notevoli satelliti – cultura e prodotti inclusi – a camminare oltre le mura e le colline. Il vecchio E. Marshall Mcluhan ci ha insegnato che un medium innovativo riesce a potenziare e a rendere pervasivo un messaggio pubblicitario.

Pensiamoci e cerchiamo di comunicare meglio (e al pubblico più coerente): i tempi lo richiedono!

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