Il 17 di aprile andiamo a votare il referendum, se vogliamo uno sviluppo più umano
di Silvana Biasutti
MONTALCINO. Lo scopro leggendo un articolo che mi pare un’informazione pubblicitaria: “il paesaggio è un’ideologia”. O almeno lo è il paesaggio che intralcia, per così dire, i progetti del cosiddetto sviluppo. La dichiarazione è stata rilasciata da un autorevole ambientalista (ex?) le cui dichiarazioni sullo sviluppo sostenibile per lunghi anni sono state ben diverse.
L’articolo riguarda la realizzazione dello stabilimento Laika in un sito archeologico e le dichiarazioni che leggo mi paiono prive di qualsiasi considerazione di carattere urbanistico. Dichiarazioni un po’ muscolari, a cominciare dal titolo “LEZIONE (in neretto) alla Toscana delle campagne belle e vuote”.
Confesso che è la prima volta che sento definire un paesaggio agricolo come qualcosa di vuoto; ma leggo anche nello stesso articolo che dove ci sono vini di successo bisognerebbe piantare più vigne, evocando la monocoltura (ancora una volta qualcuno pensa che si possa aumentare la quantità sostenendo il prezzo e il prestigio di un prodotto).
Che i tempi siano cambiati è sotto gli occhi di tutti; che lo siano in modo drammatico lo scopriremo vivendo, e lo realizzeranno in pieno figli e nipoti, ma proprio per questo bisognerebbe avere un approccio strategico e meditato. La consapevolezza di tempi difficili e problemi complessi da un lato mi rende critica nei confronti di quelle dichiarazioni, ma mi sollecita anche una riflessione a proposito degli uomini (e donne) che hanno responsabilità e ruolo nelle scelte di sviluppo del paese.
Se è vero che si sta formando una coscienza ambientalista tra i cittadini, a vari livelli, anche grazie alla rete e ai social network che rilanciano i passaparola e inducono a informarsi per capire meglio, è ancora più vero che politica e management (pubblico e privato) sembrano unicamente imbevuti di un affarismo ormai globalizzato.
Davanti ad alcuni fattori come la crescita demografica, la diaspora in corso, il cambiamento climatico, il rischio idrogeologico, il consumo di suolo, l’inquinamento globale, le crisi energetiche, e le numerose incognite di un futuro così incerto, la risposta della classe dirigente è più che mai legata a mera tattica.
Eppur si vota – ogni tanto lo sento dire da giornalisti e opinion leader – ma, per esempio, nessuno parla, scrive, o si fa intervistare, sul referendum del 17 aprile. Votazione referendaria che avrebbe dovuto essere, con un po’ di buonsenso, accorpata alle amministrative di giugno; il referendum è importante, perché ci chiede di esprimere la nostra opinione sulle trivellazioni nel mare Adriatico.
Ingenuamente (?) mi immaginavo che scienziati, geologi, biologi sarebbero stati incaricati di valutarne gli effetti su fauna marina, sui fondali di un mare così piccolo, chiuso e delicato, sulla possibilità che trivellare creando dei vuoti nel sottosuolo si inducano terremoti, oppure si rompa l’armonia di un paesaggio – quello costiero – di rilevanza turistica.
Ma poi ho letto l’intervista a Chicco Testa che dichiara:”se parliamo di turismo, le zone di maggior successo vedono una compresenza di tendenze turistiche, attività agricole e industriali”, e sono rimasta a bocca aperta, davanti a questo nuovo modello, in cui tutto coesiste, a beneficio del turismo. Ma siamo sicuri che abbia ragione?
Del resto il noto “ambientalista” è in buona compagnia; anche la regione Toscana non fa mistero delle intenzioni di trivellare tra olivi e vigne. E ieri accendendo la radio ho sentito addirittura accorrere in soccorso del glifosate – il famoso diserbante sospetto di essere cancerogeno – perfino uno scrittore, che dichiarando di soffrire di mal di schiena cronico, gli attribuiva il merito di evitare ai coltivatori la fatica di zappare (sic!).
Mi sembra chiaro che gli ambientalisti d’antan sono morti e sepolti.
Ma in un momento così globalmente delicato e pieno di incognite non sarebbe più corretto e rassicurante cercare di fare scelte di cui non pentirsi?
In fondo, per esempio, una correlazione tra trivellazioni e terremoti è già stata accertata in Emilia; e l’invito a fare scelte improntate alla cautela arriva sempre dagli scienziati più indipendenti.
Ma i cittadini non possono addormentarsi su questi temi: hanno il dovere – verso sé stessi e verso la collettività di documentarsi (ne va della salute e delle scelte di lavoro) – di scegliere, cioè di andare a votare.